martedì 17 marzo 2009
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Oggi pomeriggio Benedetto XVI sarà a Yaoundé, capitale del Camerun, inaugurando così il suo primo viaggio, dall’inizio del ministero petrino, in terra africana. Joseph Ratzinger, allora cardinale, si era già recato nel 1987 per un convegno a Kinsha­sa, allora capitale dell’ex Zaire. Non poteva imma­ginare che sarebbe tornato un giorno nel conti­nente come successore di Pietro, per una missio­ne apostolica sulla scia dei suo predecessori, in vi­sta soprattutto della seconda Assemblea speciale del Sinodo per l’Africa, che si terrà a Roma nell’ot­tobre di quest’anno. Assise episcopali che dovran­no affrontare le grandi questioni della riconcilia­zione, della giustizia e della pace nel contesto glo­bale dell’evangelizzazione di un continente gran­de tre volte l’Europa. Ed è proprio dentro questa cornice 'missionaria' che si colloca il viaggio papale, con l’intento d’infondere speranza alle giovani Chiese impe­gnate in un’ormai matura azione evangelizzatrice, essendo terminata la stagione delle tutele. Proprio come ebbe a dire Paolo VI il 31 agosto del 1969 quando a Kampala (Uganda) gridò: 'Voi africani siete ormai i missionari di voi stessi'. Allora sem­brava uno slogan azzardato ed invece si rivelò un’indicazione profetica: sono passati quarant’anni e oggi nessuno più dubita che l’iniziativa missio­naria 'ad gentes' sta passando dalle antiche alle giovani Chiese. Seppure non possiamo trascurare che un numero elevato di sacerdoti, religiosi, religiose e laici d’Eu­ropa (e d’Italia) restino attori importanti della cau­sa del Vangelo, talora con il sacrificio della propria vita. Nel frattempo, facce d’Africa hanno comin­ciato a servire la Chiese antiche in una logica del­lo scambio di doni. L’Africa dispone attualmente di vescovi di grande spessore intellettuale, molti dei quali hanno dato ripetutamente prova di coraggio nel testimoniare il Vangelo in circostanze estreme. L’itinerario papale, anche se prevede due sole so­ste (oltre a Yaoundé, Benedetto XVI visiterà la ca­pitale angolana, Luanda) vuol essere, come ha det­to domenica scorsa all’Angelus lo stesso Pontefi­ce, un pellegrinaggio che abbracci simbolicamen­te tutta l’Africa: «Le sue mille differenze e la sua profonda anima religiosa; le sue antiche culture e il suo faticoso cammino di sviluppo e di riconci­liazione, i suoi gravi problemi, le sue dolorose fe­rite e le sue enormi potenzialità e speranze». Il pro­gramma prevede in Camerun la consegna all’epi­scopato africano dell’Instrumentum Laboris sino­dale, mentre la visita in Angola sarà l’occasione per celebrare solennemente il 500° anniversario di e­vangelizzazione di quel Paese. «Parto per l’Africa – ha spiegato il Papa ai fedeli e pellegrini a Piazza San Pietro – con la consapevolezza di non avere al­tro da proporre e donare a quanti incontrerò, se non Cristo e la Buona Novella della sua croce, mi­stero di amore supremo, di amore divino che vin­ce ogni umana resistenza e rende possibile persi­no il perdono e l’amore per i nemici». Viene spontaneo chiedersi quale Africa davvero incontrerà Benedetto XVI. Avrà di fronte anzitut­to un continente che avverte l’esigenza di co­niugare spirito e vita, affermando il primato del­la persona umana sugli interessi di parte. Un’A­frica che deve ancora conquistare il suo spazio ai tavoli attorno ai quali si decidono i destini di un mondo caratterizzato da forti sperequazioni.Dai disastri di una globalizzazione selvaggia che ha generato i cosiddetti 'naufraghi dello sviluppo', alle situazioni di grave conflittualità per il con­trollo delle immense risorse minerarie e le pre­ziosissime fonti energetiche, petrolio in primis. Eppure, come spiega con lucidità e schiettezza lo scrittore nigeriano Chinua Achebe, «anche il leo­ne deve avere chi racconta la sua storia. Non so­lo il cacciatore». Un detto ancestrale che evoca l’i­stanza di guardare all’Africa senza pregiudizi e stereotipi, andando al di là di una visione pater­nalistica, ammantata di carità pelosa. Insomma quello che accoglie a braccia aperte il Pontefice è un continente che vuole imprimere, soprattutto attraverso la società civile, un deciso cambiamento di rotta al proprio destino. Un’effi­cace risposta risiede nel rinnovato impegno delle comunità a metabolizzare maggiormente il Van­gelo attraverso un’inculturazione capace d’infon­dere la 'parresia' dei tempi difficili. Parresia inte­sa come coraggio di osare: la coraggiosa franchez­za di dire e testimoniare fattivamente nel nome di Dio il vero, il buono, il bello, per criticare l’ingiu­stizia, la mancanza di solidarietà, l’odio, la guerra, le situazioni di fame e di disagio, finché l’egoismo umano farà sentire il suo pungiglione e il suo mor­so. Raymond-Maria Tchidimbo, arcivescovo di Co­nakry scrisse dalla prigione: «Il cristianesimo afri­cano è soprattutto una religione del futuro. In que­sto giace il segreto della sua eterna giovinezza».
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