Prezzi del riarmo e ragione di un fermo e papale papale no
giovedì 5 maggio 2022

L’incrudelirsi della guerra e l’escalation delle armi sono sempre più evidenti e allarmanti. Al punto che oggi anche alti rappresentanti della Ue e non solo dell’Amministrazione Usa o del Governo inglese si spingono a sostenere che la sola via d’uscita sia la vittoria militare sul campo nella nuova e terribile fase della guerra russo-ucraina scatenata da Vladimir Putin. Non un negoziato.

È possibile? Quando? A che prezzo? Tali inquietanti sviluppi suggeriscono di tornare sul severo monito di papa Francesco circa il generale, sensibile aumento delle spese militari. Non ho nessun titolo per impancarmi a suo interprete, ma, per quel che vale, la vedo così. Primo: come ha documentato su 'Avvenire' Fulvio De Giorgi, Francesco è perfettamente in linea con i suoi predecessori – da Giovanni XIII a Paolo VI a Giovanni Paolo II – che, spingendosi oltre la sintesi del Concilio, hanno espresso una condanna sempre più netta della guerra moderna.

Sia in ragione dello sviluppo delle tecnologie belliche nella direzione delle armi di distruzione di massa (sino all’atomica) che per loro natura inficiano il 'principio di proporzionalità'; sia per la convinzione che l’affinamento degli strumenti del diritto e delle organizzazioni internazionali deputati a dirimere le controversie internazionali dovrebbero sempre più derubricare le guerre a mezzo grezzo e anacronistico; sia perché l’esperienza attesta che fabbricando e commerciando armi (costosissime) prima o poi inesorabilmente le si usa o le si fa usare da altri.

Altro che astratto profetismo, semmai concretezza. Secondo: l’autorità morale e la sensibilità evangelica di Francesco lo fanno singolarmente avvertito rispetto a un clima – lo si respira nell’aria – che sembra conoscere solo il linguaggio delle armi. Con il rischio di una spirale inarrestabile, di una escalation bellica che, più o meno consapevolmente, distoglie dalla via del negoziato e della politica. Tale responsabile preoccupazione – suffragata dalla esperienza di tanti conflitti sempre più contrassegnati dalle vittime civili – non misconosce il diritto alla legittima difesa, ma, questo sì, impegna a vigilare con cura sulle condizioni e i limiti del ricorso alle armi. Affinché il mezzo (le armi) non finisca per assurgere a fine.

Molti sembrano ignorare che anche la vecchia, datata dottrina della «guerra giusta» fu elaborata non già per incoraggiare le guerre, ma soprattutto per circoscrivere i confini della loro legittimità. Terzo, prevengo l’obiezione di rito: il Papa fa il suo mestiere, ma la politica è altro. Un dualismo troppo facile ed esorcistico verso un messaggio scomodo. Provo tuttavia a raccogliere in parte l’obiezione circa la relativa (sottolineo: relativa) autonomia della politica.

Lungo tre direzioni:

1) anche la difesa – va riconosciuto – è un bene pubblico, ma appunto per questo decisioni di quella portata – un’espolsione della spesa – meriterebbero un largo dibattito pubblico e non decisioni di vertice estemporanee su impegni di lungo periodo, se vogliamo tenere fede alla differenza, che giustamente rivendichiamo, tra le nostre democrazie e i regimi autocratici;

2) il dovere di un confronto pubblico nel quale ponderare come saggiamente allocare le risorse di un bilancio per definizione non infinite;

3) se proprio si deve ragionare su un sensibile incremento della spesa militare sarebbe utile riflettere sul quadro politico nel quale iscriverla. Nel nostro caso, come su queste pagine si è auspicato più volte, semmai puntando allo sviluppo di una difesa europea – e non dei singoli Stati nazionali – che, a sua volta, esige una politica estera comune.

Lo stesso Draghi, nel suo importante discorso al Parlamento europeo di martedì 3 maggio 2022, ha osservato che la spesa per la sicurezza dei Paesi Ue è circa tre volte quella della Russia e che semmai si pone un serio problema di efficienza e di razionalizzazione degli attuali investimenti nella difesa. L’autonomia strategica della Ue è, certo, ancora di là da venire. Eppure è sempre più necessaria, se solo si considerano due circostanze: la differenza di statuto e di missione tra Ue e Nato (della quale da trent’anni avremmo dovuto ripensare la ragione genetica) e la sempre più manifesta propensione degli Usa a non accollarsi responsabilità globali di peacekeeping. Una discussione, 'laica' e politica di questo livello, meriterebbe la parola del Papa, che non un opinionista tra i tanti.

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