Luna ’69, quei sogni divorati e perduti
sabato 20 luglio 2019

Com’erano luminosi gli anni Sessanta, quando era lecito sognare e il progresso appariva come una linea retta s e consumava, consumava, consumava, fino a consumare anche se stessa. Com’era bello sognare in quella tiepida notte del 20 luglio 1969, davanti ai televisori in bianco e nero, a Tito Stagno e Ruggero Orlando, all’impossibile che diventava realtà.

Era stata una corsa sfrenata. Appena dodici anni prima lo spazio era vuoto, senza alcuna traccia dell’uomo. Il primo satellite artificiale, il sovietico Sputnik, una palla di 58 centimetri di diametro, era stata sputata in orbita nel 1957. Il primo terrestre nello spazio era stato nel 1961 Jurij Gagarin, un superuomo alto appena 157 centimetri (l’ennesima rivincita dei picco-letti). Gli americani erano al palo, attoniti. Ma in appena otto anni avevano ribaltato la situazione: da inchiodati al suolo a conquistatori della Luna. Pochissimo. Più semplice inventare il volo spaziale e volare sulla Luna, allora, che costruire, oggi, una linea della metropolitana, non parliamo della Salerno-Reggio Calabria.

Ma eravamo rapidi pure noi italiani, negli sprintosi anni Sessanta, capaci di costruire l’Autostrada del Sole, da Milano a Roma, in appena sei anni, tra il 1958 e il 1964. Eravamo bravi e pure svelti. Così eravamo indotti a ritenere che saremmo stati sempre più svelti, in un’accelerazione che doveva portarci ancora più su. Lo pensava anche Wernher Von Braun, convinto che avremmo conquistato Marte entro gli anni Ottanta. Lo credevano tutti, scienziati e artisti. Il celebre 2001 Odissea nello spazio esce nelle sale nel 1968 ma è girato tra il 1965 e il 1966 (le post-produzioni di Kubrik avevano, loro sì, tempi biblici).

L’uomo non era ancora sbarcato sulla luna ma nel film, ambientato appena 33 anni dopo, c’erano una base spaziale gigantesca, navicelle che andavano avanti e indietro e una base lunare. Ottimismo a bizzeffe. Ottimista, fino a un certo punto, anche l’altro capolavoro della fantascienza, Blade Runner, uscito nelle sale nel 1982: ambientato nel novembre 2019, la terra è una fogna affogata nell’inquinamento, ma l’umanità ricca e potente è da tempo emigrata sulle colonie extramondo a bordo di navi spaziali; l’ingegneria genetica produce esseri umani artificiali; gli spinner sono automobili che volano. Mancano quattro mesi, perdinci, diamoci da fare! Eppure... Fare previsioni, di qualunque genere, è difficilissimo. Si può solo sbagliare, e pure di grosso, e questo dovrebbe mettere in guardia iperottimisti e catastrofisti: più popolari i secondi, vendono meglio la loro mercanzia. In nessuna delle due 'profezie', per esempio, esiste la telefonia mobile. HAL 9000, il computer che conduce l’astronave verso Giove, è gigantesco: superiore ai nostri perché intelligente, ma nettamente inferiore per maneggevolezza.

I pc di Blade Runner hanno schermi piatti a comando vocale ma Rick Deckart usa un telefono pubblico a gettoni. In compenso ha sbagliato tutto anche chi, dal cuore dei galoppanti anni Sessanta, vedeva solo nero. Nel 1966 il maestro Harry Harrison scriveva Largo! Largo!, ambientato nel 1999, da cui nel 1973 Richard Fleischer ricavava, spostando la data per prudenza, 2022 I sopravvissuti: il mondo, prigioniero di una perenne estate torrida, ha esaurito cibo e acqua potabile. Gli uomini credono di mangiare tavolette di plancton ma è esaurito pure quello, in realtà si cibano di cadaveri, metafora sbrigativa ma efficace di una società capitalistica che finisce per divorare se stessa. Di nuovo: mancano tre anni, evitiamo di darci da fare. La tiepida notte di 50 anni fa è lontana. Da allora, pian piano, abbiamo smesso di sognare. Peccato, perché la lezione è chiara: possiamo fare grandissime cose, e in tempi rapidi, se solo smettiamo di farci del male. Di divorare le nostre risorse, i nostri sogni, le nostre ambizioni; e infine noi stessi.

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