Lezione europea in salsa spagnola
martedì 30 aprile 2019

I “baroni” del partito – dal segretario generale Rubalcaba all’andalusa Susanna Diaz ai presidenti della Comunidad Valenciana, di Aragón, di Castilla-La Mancha – non lo volevano proprio quel professorino poco più che quarantenne alla guida del Psoe e tre anni fa gli fecero la guerra: meglio trattare con i popolari di Mariano Rajoy, dissero, e sperimentare una Grosse Koalition in salsa iberica, visto che la Spagna per la prima volta si trovava, come scrisse “El Pais”, con «un Parlamento all’italiana, ma purtroppo senza gli italiani». Le urne avevano in serbo, però, un diverso destino per Pedro Sánchez: quello di guidare da vincitore la resurrezione del Partido Socialista Obrero, come attesta il risultato delle elezioni anticipate che si sono chiuse domenica. Un trionfo, quello socialista, che quasi raddoppia il numero dei parlamentari, così come – simmetricamente – i popolari ne perdono la metà. Un esito in fondo già previsto, se pure non in simile dismisura. Toccherà quindi a Sánchez tentare di formare il nuovo governo puntando – scartata l’alleanza con Ciudadanos – sull’opzione più naturale, visto che con il ridimensionato Podemos non ci sono i numeri per una maggioranza parlamentare: un governo di minoranza Psoe-Podemos sostenuto dall’esterno – con tutti i rischi che ciò comporta – dai partiti regionali nazionalisti, dei baschi e dei catalani. Qualcuno già dice che tra breve si tornerà per la quarta volta alle urne.

Il voto di domenica evidenzia nondimeno la frantumazione della destra: ha perso il Pp di Pablo Casado, successore di Rajoy e delfino di José Maria Aznar, principalmente per aver impresso nell’ultimo anno una brusca svolta conservatrice, lontana dal centrismo democratico e governativo del suo predecessore. Una svolta che ha finito con il premiare il leader “liberale” di Ciudadanos Albert Rivera, ma che ha anche fatto strada a Santiago Abascal, leader della formazione di destra xenofoba e neofranchista Vox, che si è aggiudicato il 10% delle preferenze (tre anni fa non superava lo 0,2%).

Ma è dal pur innegabile successo di Vox che vorremo prendere le mosse per provare a dare più esatte dimensioni a quel coacervo di populismo, euroscetticismo, sovranismo, suprematismo xenofobo che da almeno un anno si è fuso e amalgamato nell’opinione pubblica quasi in un’unica fantasmatica entità, un’idra armata (dal Rassemblement National di Marine Le Pen all’Fpö austriaco, dagli xenofobi olandesi di Geert Wilders a quelli tedeschi di Alternative für Deutschland, dai nazionalisti polacchi del Pis di Jaroslaw Kaczynski, agli squadristi belgi di Vlaams Belang, dal Dansk Voleparti agli svedesi di Svenska Demokraterna, dagli euroscettici antiglobalisti croati di Zivi Zid ai finlandesi di Liike Nyt fino al Brexit Party di Nigel Farage e alla Lega di Salvini) che – complice la delegittimazione delle élite, la crisi del liberismo e della globalizzazione e i molteplici imperdonabili errori dell’establishment europeo – punta a scardinare l’edificio comunitario. E costoro continuano a proclamare di esser certi di riuscire nel loro intento.

Ma i test elettorali più recenti – come quello spagnolo, quello slovacco, quello svedese, quello finlandese – testimoniano, sì, l’affacciarsi prepotente di queste formazioni antagoniste, senza però che nessuna di esse, per ora, abbia alcuna possibilità di ribaltare davvero gli equilibri politici europei. Prevedibilmente le due grandi famiglie, Ppe e Pse, perderanno dei seggi e insieme anche la possibilità di dar vita a una maggioranza parlamentare a Strasburgo. In compenso verdi e liberali avanzeranno (i prodromi si sono già visti nelle regionali in Germania) e per i nuovi arrivati (l’Invencible Armada populista-sovranista, che difficilmente supererà il 12-13 per cento) il bottino sarà esiguo, nonostante gli apparenti trionfi elettorali. Un esempio concreto? Un minuto dopo il responso delle urne di maggio a Bruxelles comincerà il valzer delle poltrone. A suonarlo saranno Angela Merkel per il Ppe, Pedro Sánchez per il Pse ed Emmanuel Macron per i liberali, ovvero i leader più votati delle tre grandi famiglie che continueranno a guidare l’Europa e che si attribuiranno la presidenza della Commissione Europea, quella dell’Europarlamento, quella della Bce, quella di Alto rappresentante per gli Esteri oltre a vicepresidenze e commissioni parlamentari. Per i sovranisti, i populisti, gli euroscettici – italiani compresi – ci saranno solo le briciole e la caduta di molte illusioni. Per chi sta all’opposizione “a prescindere”, si sa, solo premi di consolazione.

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