Chi si cura del G7?
sabato 28 gennaio 2017

In vista della prossima riunione del G7, fissata per il 26 e il 27 maggio a Taormina sotto la presidenza italiana, l’unica casella vuota tra i leader che vi prenderanno parte è quella francese. A Parigi si vota per le presidenziali il 23 aprile e dopo due settimane si svolgerà il ballottaggio. Il nuovo inquilino dell’Eliseo arriverà quindi fresco di investitura al tavolo più importante del Pianeta. Ma avrà la garanzia, salvo clamorosi incidenti di percorso, di sedervisi anche nei successivi 4 o 5 appuntamenti (secondo la data del vertice 2022 e delle elezioni dello stesso anno). Sicuro di parteciparvi è il premier italiano Paolo Gentiloni che però, in caso di voto anticipato a giugno, potrebbe arrivare ai colloqui con gli altri leader segnato da una data di scadenza a pochi giorni. E nel pieno di una campagna elettorale che verosimilmente risparmierà ben pochi colpi bassi.

Quello siciliano è peraltro il primo consesso dell’anno in cui si confronteranno l’«asse atlantico» con nuove venature populiste tra Donald Trump e Theresa May e il blocco europeo continentale, con Giappone e Canada interlocutori importanti nel rimescolamento delle partnership privilegiate (mancherà la Russia, esclusa dal G8 nel 2014 come sanzione per l’annessione della Crimea). Sorprende dunque la scarsissima attenzione a questo appuntamento internazionale, di cui siamo padroni di casa e responsabili, nel dibattito sulla data in cui chiamare il Paese alle urne. Quanto è opportuno indebolire la nostra partecipazione al summit in un momento di oggettivo e rilevante riassetto degli equilibri mondiali? Basti pensare a quanto “debole” è stata la presenza di Barack Obama agli ultimi incontri con rappresentanti esteri, quando risultava ormai noto che il suo successore Trump aveva tutt’altra visione strategica e avrebbe ribaltato impegni eventualmente assunti dall’allora capo della Casa Bianca.

È la fisiologia democratica, si può obiettare, i capi di Stato e di governo cambiano e le politiche messe in atto dalle nazioni possono mutare. Vero, ma i calendari dei vertici sono costruiti su scadenze preventivate a lunga gittata. L’8 novembre 2016, giorno del voto americano, era ben scolpito da tempo nei calendari della diplomazia e dei mercati finanziari. La data delle elezioni italiane, invece, è spesso incline a spostarsi indietro o a dipendere da altri eventi, in questo caso dalla combinazione di un referendum confermativo e della decisione della Consulta sull’Italicum.

Tuttavia, provando ad astrarre da quanto detto finora, facciamo un’ipotesi di pura accademia (perché praticamente di non agevole realizzazione). Gentiloni scrive una lettera ai colleghi del G7 e propone di spostare l’appuntamento di Taormina a metà luglio. «Avremo la scelta del nuovo Parlamento e, di conseguenza, del nuovo esecutivo; 40 giorni dopo la data fissata, vi accoglierà un premier con saldi poteri e una prospettiva di lungo raggio». Ma queste righe suonerebbero tanto false quanto menzognere, perché è chiaro pure agli osservatori più distratti che un voto con le due leggi elettorali attualmente vigenti non condurrebbe ad alcuna maggioranza, e che un eventuale governo di coalizione esprimerebbe un leader tutt’altro che forte, non destinato a una serena navigazione di cinque anni.

Ma se la legislatura prosegue, il nostro premier si presenta a Taormina quale interlocutore solido, garante di una linea di continuità per la politica estera italiana? Non del tutto, è certo. A ben vedere, si tratta comunque dell’alternativa probabilmente meno dannosa per il ruolo italiano all’interno del G7. E ciò si collega a una serie di altre, e forse più importanti, valutazioni. Una riguarda l’armonizzazione delle regole per l’elezione di Camera e Senato, un processo in cui il Parlamento riprenda in mano l’iniziativa politica e ricucia il sistema di regole del voto che i giudici costituzionali hanno, in tempi diversi, sforbiciato.

L’altra, sottolineata giovedì anche dal segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, ha a che fare con alcuni provvedimenti – tanti urgenti per molti italiani quanto trascurati da numerosi nostri rappresentanti – che si chiamano “Piano nazionale contro la povertà” e decreti attuativi per dare sostanza agli interventi promessi a favore della famiglia. Se poi arrivassero anche qualche misura per provare a dare impulso all’economia e una soluzione “forte” (nel segno dello sviluppo) ai contrasti con l’Europa sui conti pubblici, il premier che si presenterà a Taormina per il G7 apparirebbe più credibile e affidabile di uno sbattuto e distratto dai venti della campagna elettorale. Andrea Lavazza © RIPRODUZIONE RISERVATA

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