giovedì 14 agosto 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Il passaggio a Oriente di Francesco è anche un viaggio al cuore della persecuzione e del martirio cristiano. La sua permanenza tra oggi e lunedì in Corea del Sud è segnata dalla memoria dei martiri dai quali è fiorita la storia di grazia di questa Chiesa. I 124 martiri che Francesco si appresta a beatificare sabato appartengono tutti alla prima generazione di battezzati in questa terra, ma sono solo una piccola parte di una costellazione fatta di oltre diecimila altri testimoni perché la discriminazione, la persecuzione e il martirio hanno caratterizzato più di duecento anni di storia della Chiesa in Corea. Non c’è dubbio che la particolare dinamica sbocciata dal sangue dei martiri – con cui qui la fede è rimasta viva ed è continuata la diffusione del Vangelo attraverso l’opera apostolica di semplici laici autoctoni, libera da imposizioni esterne – sia paradigmatica della visione pastorale e dell’immagine della Chiesa «in stato permanente di missione». E questa peculiarità può aver certamente influito anche sulla scelta di papa Francesco di entrare per la prima volta nel continente asiatico proprio dalla porta della Corea del Sud. Un viaggio, dunque, che ci porta a riflettere ancora sulle connessioni tra testimonianza e persecuzione, missione e martirio, annuncio del Vangelo e ricerca della pace, e a dare luce alle sofferenze patite in questo frangente dai cristiani in Iraq, per le quali lo stesso Francesco ha inviato ieri un’accorata lettera al segretario generale delle Nazioni Unite. Ancora oggi «i cristiani sono perseguitati» al punto che forse ci sono «più martiri adesso che nei primi tempi»: «Il nostro è un tempo di martirio». I riferimenti del Vescovo di Roma alla persecuzione e al martirio, più volte ripetuti, hanno sempre punteggiato la sua predicazione. In essi si ritrova il criterio di fede con cui papa Francesco guarda a questo tratto proprio della vicenda cristiana nel mondo. Per papa Bergoglio la persecuzione c’è adesso, perché c’è sempre stata e ci sarà sempre. L’attuale Successore di Pietro – con tutta la tradizione della Chiesa – riconosce che la connotazione martiriale ha accompagnato sempre la testimonianza cristiana e la missione della Chiesa nel mondo. «Questo – ha detto – è il cammino del Signore, il cammino di quelli che seguono il Signore». Un cammino che «finisce sempre come per il Signore, con una risurrezione, ma passando per la Croce». Perché Gesù stesso è il martire che con il suo martirio e la sua resurrezione ci ha salvati, avvenuto in un contesto di assoluta mancanza di libertà religiosa. Il mistero della Croce accompagna la missione. E la storia delle missioni è la storia del martirio di Cristo che sempre si rinnova. Dalle persecuzioni dei primi secoli a quelle di oggi. Secondo la 'beatitudine delle persecuzioni' previste e garantite da Gesù ai suoi  discepoli. Il martirio è vocazione, dono che rende conformi a Cristo. La testimonianza dei martiri ha perciò la particolarità di rendere manifesto un messaggio: la salvezza di Cristo. Il martire cristiano è un testimone della fedeltà a Cristo alla sua missione di dare la vita per la salvezza del mondo. Per questo motivo il martirio ha una valenza prettamente cristologia in ragione del rapporto, del tutto speciale, del martire con il Signore. È un atto di fede, la quale, a sua volta è mossa dalla carità. Ed è solamente il sacrificio di Cristo, morto e risorto per noi, che dà senso al martirio di ogni uomo e donna. È questo sacrificio di Gesù che lo rende possibile perché la vita condivide con lui la dimensione fondamentale dell’incarnazione: la passione e la morte, a cui segue la risurrezione. Nella testimonianza di fragili creature risplende l’onnipotenza di Dio. Il martirio diventa, quindi, una proclamazione della possibilità di speranza in Dio, la cui potenza sostiene gli umili ed è comunque vincente. Il martire, infatti, non è uno sconfitto, ma un vincitore. Perde la sua vita, ma molti con la conversione grazie a lui, la ricevono. E la sua stessa vita va a sostenere quella della Chiesa intesa come comunione. Parlando di martirio bisogna però sempre stare attenti a non correre il rischio di mettere in secondo piano il valore della giustizia e l’assoluta deplorevolezza di situazioni di oppressione. Il martirio nasce, infatti, come frutto santo di situazioni di iniquità: persecuzioni, violenze, violazioni della dignità umana. E se la presenza di Cristo nel martire, insieme alla proclamazione solenne del suo nome, fa la grandezza e la fecondità dell’esperienza eroica fino al dono della vita, resta intatta la radicale ingiustizia – da non tacere e da combattere – dei contesti storici che generano martiri. Tuttavia, come ha fatto osservare il cardinale Filoni, inviato speciale del Papa in Iraq, «la Chiesa con la beatificazione e la canonizzazione dei martiri mette in evidenza che il battesimo e il dono della fede danno la grazia di rendere testimonianza alla gloria di Dio fino a rinunciare alla propria vita. Nella nostra cultura odierna, questa natura propria del martirio cristiano viene però spesso persa di vista e prevale una concezione che rischia di fare anche del martirio soltanto una questione di diritti umani violati e da rivendicare». Nelle riflessioni di papa Francesco, la persecuzione e il martirio – come insegna da sempre la Chiesa – attingono e rimandano perciò al mistero stesso della salvezza promessa da Cristo. Il suo sguardo sui fatti di persecuzione non si confonde con le interpretazioni in chiave politica dei patimenti sofferti dai cristiani. Se denuncia ogni violazione della libertà religiosa e della dignità umana al tempo stesso annuncia che Cristo ha fatto della persecuzione, e della morte, uno strumento di salvezza. E bisogna ricordare come alcune volte la testimonianza dei martiri tocca anche il cuore dei pagani, o dei persecutori. I martiri sono anche ritenuti gli intercessori più efficaci nella Chiesa, fino a essere fautori di riconciliazione e d’unità della Chiesa e, con la loro testimonianza autorevole, strumenti di pace. Gettano ponti. Non innalzano muri. In questo si chiarisce il nesso martirio-annuncio-ricerca della pace. E in questo senso va anche considerato il gesto di san Francesco d’Assisi con il sultano d’Egitto nel 1219. Sulle due rive del Mediterraneo scorreva l’odio. La mentalità era legata allo scontro tra due sistemi. Alcuni frati erano stati uccisi in odio alla fede e c’era chi, proclamando la grandezza della religione cristiana, insultava l’Islam. Un vicolo cieco per Francesco, che senza condizioni volle andare a incontrare il sultano Malik al Kamil. Le fonti francescane riportano l’episodio sottolineando come san Francesco con coraggio e amore andò incontro al sultano il quale rimase toccato da quel frate. L'incontro di san Francesco con il sultano è un episodio senza martirio. Per molto tempo il dialogo di pace tra il sultano e san Francesco fu però considerato come un fallimento. Per molti, a quell’epoca, era meglio tacere l’episodio, considerato poco glorioso. Ma Francesco, con la sua visione dell’evangelizzazione e nel suo agire, s’inseriva in tutta un’altra logica e finì addirittura col predire ai crociati la sconfitta. Non ragionava con i criteri ideologici della cristianità del suo tempo, e in quel viaggio per conoscere da vicino i musulmani si era posto al di là di ogni frontiera. Il santo d’Assisi aveva semplicemente testimoniato il Vangelo: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli». È questa la missione della Chiesa di Cristo che viene messa in luce anche con la beatificazione dei martiri in Corea e l’orizzonte della vera pace.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: