Zuppi: la missione umanitaria per i bimbi ucraini e i prigionieri continua
Il presidente della Cei: la comunità internazionale deve aiutare Ucraina e Russia a costruire la pace e farsene garante. I negoziati in Vaticano proposti dal Papa? Un gesto di generosità

L’ultima lista di bambini ucraini da liberare è stata consegnata «qualche settimana fa», racconta il cardinale Matteo Zuppi. «Dal presidente Volodymyr Zelensky», aggiunge subito. Un’«ulteriore lista», la definisce il presidente della Cei per indicare i vari elenchi di ragazzini finiti nei territori russi, i cui nomi sono arrivati da Kiev a Mosca grazie alla sua missione di pace. «Missione umanitaria», specifica l’arcivescovo di Bologna, che «papa Francesco mi aveva affidato e che papa Leone mi ha confermato», fa sapere. Tre le linee d’azione intorno a cui la rete vaticana sta contribuendo a far dialogare le due capitali: il rimpatrio dei piccoli che l’Ucraina dice siano stati deportati in Russia; «Lo scambio dei prigionieri di guerra; e la restituzione delle salme dei caduti», sottolinea Zuppi. Queste ultime due sono anche i soli punti su cui si è trovata un’intesa nei round di colloqui in Turchia fra la delegazione russa e quella ucraina. A dimostrazione di come l’esperienza della diplomazia umanitaria alimentata dalla Chiesa possa aiutare ad aprire spiragli in una guerra che dopo tre anni non lascia intravedere prospettive di tregua. «Anche se sentiamo che quanto siamo facendo è ancora troppo poco e vorremmo che il nostro apporto crescesse ulteriormente. Paradossalmente l’aspetto umanitario può essere una grammatica per ritrovare un alfabeto comune di pace. Esercitandoci in questo ambito, ritengo che sia possibile ritrovare parole di concordia», spiega Zuppi ai media Cei.

Il presidente della Cei ha appena concluso la visita ai cinquanta vescovi del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina nella loro ultima mattinata di lavori dopo dieci giorni di confronto a Roma che li hanno portati anche a incontrare tre volte Leone XIV. E l’appuntamento successivo nell’agenda del cardinale è uno dei panel nella Conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Ucraina che si tiene fino a oggi in città.
Eminenza, quali indicazioni darebbe ai leader presenti nella capitale per una solida ricostruzione del Paese?
È chiaro che bisogna fare di tutto perché la distruzione finisca al più presto. Altrimenti si fa fatica a parlare di ricostruzione. Mentre la guerra è ancora in atto, occorre guardare anzitutto alla popolazione che è la prima vittima di un conflitto per alleviarne le sofferenze. Dall’altra, è interessante guardare al futuro, prepararne il terreno. Perché la pace si realizza soltanto se la cerchiamo. E la comunità internazionale è tenuta a cercarla insieme. Ciò significa che non basta l’apporto delle due parti in causa: è necessario sempre un terzo interlocutore. Ed è appunto la comunità internazionale che deve aiutare a costruire la pace e farsene garante.
Nell’udienza del Papa al presidente Zelensky di mercoledì a Castel Gandolfo, Leone XIV ha riaffermato la disponibilità ad accogliere in Vaticano i negoziati fra Russia e Ucraina.
È un gesto di grande generosità da parte della Chiesa tutta, a partire ovviamente dal Pontefice. C’è un’espressione che Leone XIV ha usato per lanciare l’iniziativa a maggio: proponeva che “i nemici si incontrino e si guardino negli occhi”. Non si tratta quindi soltanto dell’offerta di uno spazio fisico, ma di un’opportunità di dialogo che possa concorrere alla ricomposizione del conflitto e quindi a far tacere le armi.
Come proseguirà la sua missione di pace?
Spingendo in tutte le direzioni possibili per quanto attiene alla dimensione umanitaria. Perché questa è una missione umanitaria, va ribadito.
Uno degli impegni è quello della restituzione dei bambini ucraini alle loro famiglie. Questione che sta a cuore a Kiev, come dimostra il fatto che Zelensky l’abbia citata nel suo resoconto dell’incontro con il Papa.
Le liste di bambini che ci vengono recapitate anche dallo stesso presidente vanno appurate con Mosca. È un meccanismo che coinvolge le autorità dei due Paesi e i nunzi apostolici di entrambe le capitali. Si lavora al ricongiungimento familiare ma con molta, forse troppa, lentezza. Vorremmo che tutto fosse più rapido, ma occorre anche considerare le condizioni oggettivamente difficili: non solo di comunicazione tra le parti, ma anche di verifica delle situazioni.
E lo scambio dei detenuti di guerra?
Anche in questo caso, le liste che ci vengono affidate sono molte e ogni parte è tenuta a compiere i riscontri. Sono sforzi che devono continuare perché le condizioni di prigionia sono di estrema difficoltà.
Dopo l’incontro con il Papa, il presidente Zelensky ha ricordato i bambini accolti in Italia. Anche quest’anno le diocesi della Penisola, con la Caritas italiana, sono tornate a mobilitarsi per le vacanze di seicento giovanissimi ucraini.
Anche il Papa ha incontrato trecento di loro nell’Aula Paolo VI all’interno dell’“Estate ragazzi in Vaticano”. È effettivamente una piccola luce che consola chi si confronta con il buio di un conflitto armato. Perché la guerra va vista con gli occhi dei bambini per capirne l’illogicità e per combatterla. Infatti tutti possiamo fare qualcosa per la pace.
Ai vescovi ucraini che cosa ha detto?
Ho portato la vicinanza, l’affetto e la solidarietà della Chiesa italiana. Le nostre comunità condividono la tragedia che da troppo tempo sta devastando l’Ucraina ma vogliono anche sostenerla con la speranza cristiana in mezzo alla disperazione e della brutalità.
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