«Quest'anno di studio lo avete donato voi»

Festa per i piccoli ospiti "dell'orfanotrofio profugo" di Gladys e Leslie che hanno ricevuto l'attestato di fine corso
July 12, 2025
«Quest'anno di studio lo avete donato voi»
Maison des Anges | Alcuni dei bambini e delle bambine che vivono alla Maison des Anges, Haiti
Fare la differenza oltreoceano, in uno dei luoghi più martoriati della Terra. È ciò che i lettori di Avvenire sono riusciti a realizzare con le loro donazioni per il progetto «Figli di Haiti». Hanno raggiunto la porta di un luogo isolato, inaccessibile persino per chi vive a poche decine di chilometri di distanza. E sono arrivati a loro: ai dodici bambini e bambine che vivono alla Maison des Anges, l’orfanotrofio a cui vengono destinate tutte le offerte dei lettori di Avvenire proprio per questa campagna, Figli di Haiti. La struttura che è una famiglia allargata gestita da Marie Gladys Sajous Maximilien e Maurice Antoine Leslie Maximilien, moglie e marito. Lo raccontano direttamente loro, in una videochiamata Italia–Haiti. Sullo schermo del telefono compaiono Gladys, Leslie e anche tutti i bambini. Saltano, urlano, salutano con la mano. Il contributo dei lettori ha realizzato uno dei più grandi desideri della Maison: pagare la retta per permettere ai bambini di concludere l’anno scolastico, un fatto che sembrava irrealizzabile per la mancanza di risorse. «Questi anni sono durissimi – raccontano i coniugi – La situazione ad Haiti peggiora continuamente: è un disastro
I bambini e le bambine della Maison des Anges, Haiti - Maison des Anges
I bambini e le bambine della Maison des Anges, Haiti - Maison des Anges

La violenza delle gang armate ha paralizzato la capitale, Port-au-Prince, e rende pericolose anche le attività più quotidiane. Non c’è più la possibilità di lavorare, guadagnare e costruire qualcosa per il futuro». Loro lo hanno sperimentato sulla propria pelle: fino al 2022 la loro sede era proprio a Port-au-Prince e ospitava 62 bambini. Poi sono arrivate le minacce delle gang e la coppia ha dovuto decidere come agire, e in fretta. La maggior parte dei minori è stata inviata in altri luoghi sicuri, mentre 12 sono rimasti e hanno seguito Gladys e Leslie. Oggi tutti vivono 50 chilometri a sud della capitale, in una vecchia casa che hanno rimesso a posto pezzo dopo pezzo. Non possono contare su persone che arrivino concretamente ad aiutarli perché le gang bloccano tutte le strade che li collegherebbero alla capitale. «Per fortuna c’è una scuola in una località vicina a noi, raggiungibile nonostante il controllo esercitato dalle bande armate». Le lezioni dei bambini sono finite da poco e, per l’occasione, alla Maison c’è stata una vera e propria festa. Gladys invia alcune foto della cerimonia di conferimento del diploma: le bambine indossano abiti azzurri brillanti, i bambini completi dello stesso colore, con tanto di papillon. Sono gli stessi bambini che ora corrono nel cortile e che chiedono a Leslie e Gladys di portarli al mare. Ogni tanto, le gite sono fattibili: poco distante dalla casa c’è una spiaggia. Per il resto, attorno alla Maison ci sono solo colline. Gladys mostra in videochiamata lo spazio che hanno a disposizione: un piccolo ufficio che fa anche da stanza da letto, una dispensa con pile di alimentari, una sala comune con tavoli e giochi, una cucina e poi, all’esterno, un prato rigoglioso e un cortile. Sin dall’arrivo nella casa, la coppia ha dovuto sfruttare al massimo lo spazio disponibile. «Avremmo bisogno di essere autonomi almeno per il 50 per cento delle spese, ma non ci siamo ancora – racconta Leslie –. Abbiamo un piccolo orto con peperoni e cavoli, alcuni alberi da frutto e qualche animali come mucche, maiali e pecore». Mostra un piatto pieno di ciliegie. «Vedi queste? Arrivano dai nostri alberi e riusciamo a farne un succo per tutti i bambini. Ma quest’anno non so come avremmo fatto senza le donazioni dall’estero». Nonostante le difficoltà economiche, non cambia però lo spirito con cui si portano avanti le attività: «I bambini devono studiare e, crescendo, imparare un mestiere. Solo così si può immaginare per loro un futuro diverso da quello dei propri contesti di provenienza – continua ancora Leslie – Molti arrivano dalle zone più povere di Port-au-Prince e sono orfani. Solo in alcuni casi c’è ancora un genitore che non ha però alcuna risorsa affettiva o economica per prendersi cura del piccolo. Finché eravamo a Port-au-Prince, il legame con l’eventuale genitore rimaneva vivo: una volta al mese, gli adulti venivano a trovare i bambini.
Ora non è più possibile». La coppia ha alle spalle 30 anni di esperienza. «Nel 1998 prendemmo in gestione un orfanotrofio che si occupava anche di adozioni internazionali. Siamo ancora in contatto con molti dei bambini che abbiamo accolto: alcuni sono negli Stati Uniti, in Canada, in Europa. Sono riusciti a costruire la vita che desideravano». La preoccupazione più grande, ora, è per il futuro dei dodici rimasti con loro. «Sono parte della nostra famiglia – rimarca la coppia –. Noi non potremmo vivere se non così». In sottofondo si sentono ancora le voci dei piccoli. Sono impazienti: il pranzo è quasi pronto, è ora di mettersi a tavola.

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