Picchiata e trascinata via: l'arresto della Nobel iraniana Narges Mohammadi

Lo ha reso noto l'organizzazione Hengaw per i diritti umani spiegando che l'attivista stava manifestando a Mashhad, città nel nord est dell'Iran. È stata portata in una località sconosciuta
December 12, 2025
Picchiata e trascinata via: l'arresto della Nobel iraniana Narges Mohammadi
Un fermo immagine di un video che ritrae Narges Mohammadi alla manifestazione in cui è stata arrestata / ANSA
Un messaggio audio ha confermato quello che si temeva: Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace divenuta uno dei simboli più conosciuti della resistenza del popolo iraniano alla tirannia, è stata picchiata prima di essere portata via a forza. Dopo un anno trascorso ai domiciliari, godendo anche di una piccola porzione di libertà, ieri l’attivista per i diritti umani è stata arrestata insieme ad altri mentre partecipava alla commemorazione dell’avvocato Khosrow Alikordi, morto la settimana scorsa per un presunto malore nel suo ufficio a Mashhad, una cittadina nota come luogo di pellegrinaggio all’estremo nord-est del Paese.  È stato proprio il fratello del professionista, Javad, a testimoniare in un audio che le forze di sicurezza, accorse per disperdere la manifestazione, hanno picchiato Mohammadi e altri attivisti. Esistono fermo immagini di alcuni video che mostrano la premio Nobel in piedi su un palco, con una giacca bianca e una gonna nera, circondata da decine di persone, mentre parla con un microfono nella mano sinistra. Della sua sorte e di quella degli altri arrestati (si conoscono i nomi di Sepideh Gholian, Hasti Amiri, Pouran Nazemi, Alieh Motalebzadeh) non si hanno dettagli: secondo il network online Iran International, sono stati trasferiti in un centro di detenzione collegato al servizio di intelligence delle Guardie Rivoluzionarie iraniane a Mashhad. Si sa anche che la folla ha intonato slogan a sostegno del principe Reza Pahlavi. L’avvocato di cui si commemorava la morte era lui stesso un ex prigioniero e difendeva diversi attivisti antiregime finiti in carcere.
La sua scomparsa ha suscitato un’ondata di sdegno e una chiara contestazione alla versione ufficiale dell’arresto cardiaco avvenuto mentre lavorava nel suo studio. La Nobel Narges Mohammadi, nata 53 anni fa a Zanjan, nell’Iran nordoccidentale, dai primi giorni di dicembre 2024 si trova agli arresti domiciliari per gravi problemi di salute, sorti in seguito alle torture e ai ripetuti scioperi della fame attuati nei lunghi anni di detenzione. Ingegnera fisico di formazione e giornalista, la sua battaglia per i diritti umani e delle donne in particolare è cominciata sin dall’universita. Nel 1999 ha sposato il giornalista dissidente Taghi Rahmani, rifugiato in Francia dal 2012 con i due figli gemelli dopo aver scontato 14 anni di prigione. Sono stati proprio loro, Ali e Kiana, che Mohammadi non vede da quando erano bambini, a ritirare per suo conto il premio Nobel per la pace, assegnatole nel 2023 per la sua strenua e coraggiosa lotta per la libertà e la democrazia.
Narges Mohammadi in una foto d'archivio / REUTERS
Narges Mohammadi in una foto d'archivio / REUTERS
L’arresto di ieri è solo l’ultimo attacco contro di lei, una lunga odissea cominciata nel 1998, da quando ciclicamente le autorità iraniane hanno cercato di mettere a tacere la sua voce contro la pena di morte e per il diritto delle donne a non indossare il velo islamico imposto dagli ayatollah. Nel 2008, le autorità iraniane hanno chiuso con la forza il Centro per i Difensori dei Diritti Umani da lei diretto con l’altro Nobel per la pace, l’avvocata Shirin Ebadi. L’anno dopo il suo passaporto viene confiscato; nel 2011 è arrestata per il suo impegno a favore degli attivisti per i diritti umani detenuti e delle loro famiglie. Mohammadi finisce in carcere anche nel 2015, con un’altra condanna e ulteriori anni di detenzione. Nel maggio 2016 è condannata a 16 anni di carcere; rilasciata nell’ottobre 2020, torna in galera ancora una volta, pochi mesi dopo aver scritto “White Torture”, un atto d’accusa contro il sistema carcerario che pratica un sistema di “tortura bianca” per annientare la resistenza delle detenute: privazioni del sonno, ricatti emotivi, minacce di morte nei confronti dei figli.
La sua determinazione è incrollabile: Mohammadi persegue la sua lotta senza sosta, sostenendo la rivolta “Donna, Vita, Libertà”. Il 12 gennaio 2022, durante un processo farsa durato cinque minuti, è condannata a otto anni e due mesi di carcere e 74 frustate. Tornata nel famigerato carcere di Evin, a Teheran, negli ultimi mesi le sue condizioni di salute si sono deteriorate per vari scioperi della fame, per la mancata assistenza medica e per le torture inflitte. Ricoverata d’urgenza per un infarto, la sua famiglia e i suoi sostenitori hanno temuto il peggio per la sua vita. Nel dicembre 2024 è tornata in libertà per ragioni mediche. Fino a ieri.

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