Perché solo Netanyahu ha accettato la tregua proposta dagli Usa
di Nello Scavo
Il sì del premier israeliano al piano Witkoff è un modo per mettere in difficoltà Hamas, dopo aver pagato il prezzo alle richieste dell'ultradestra interna. Ma sui 60 giorni di stop non c'è certezza

Dopo avere autorizzato la nascita di altre 22 colonie di occupazione in Palestina, appagando le richieste dell’ala oltranzista del governo, il premier Netanyahu ha ufficializzato il suo riscontro positivo alla proposta di tregua mediata dall’inviato Usa Steve Witkoff. Al contrario di Hamas che per tutta la giornata ha fatto trapelare perplessità ma non un “no” definitivo.
La mossa del premier israeliano ha preceduto la risposta degli estremisti, messi con le spalle al muro nel momento più difficile dei 600 giorni di guerra. Rifiutare un cessate il fuoco di due mesi, nel momento peggiore per la situazione umanitaria a Gaza, risulterebbe incomprensibile anche a molti sostenitori del gruppo armato a cui è richiesto di rilasciare 10 ostaggi su 58, ottenendo in cambio la scarcerazione di oltre un centinaio di detenuti palestinesi condannati all’ergastolo e la liberazione di un migliaio di cittadini di Gaza trattenuti in “detenzione amministrativa” da Israele. Già domani potrebbero avvenire i primi scambi, con cinque ostaggi consegnati nelle mani della Croce Rossa a Gaza e contemporaneamente la scarcerazione del primo gruppo di ergastolani palestinesi. Sul tavolo Witkoff ha messo anche calibri pesanti delle formazioni radicate in Cisgiordania, mentre non è più un tabù, a quanto apprende “Avvenire” da fonti a Ramallah e a Tel Aviv, l’ipotesi di potere un giorno rilasciare anche Marwan Barghouti, l’indiscusso leader palestinese la cui scarcerazione è in parte temuta anche da una parte dell’attuale leadership, dato il consenso ampio e trasversale di cui il fedelissimo di Yasser Arafat, padre dell’attuale stato palestinese, gode nonostante gli oltre vent’anni trascorsi in carcere. Il “si” di Netanyahu al piano americano non è incondizionato. Parlando alle famiglie degli ostaggi, il capo del governo israeliano ha detto di essere “pronto ad andare avanti” verso un accordo per la restituzione degli israeliani imprigionati da Hamas e dagli altri gruppi affiliati, e per un cessate il fuoco di almeno 60 giorni.
Il punto su cui Hamas ha opposto maggiore resistenza riguarda la possibilità per Israele di riprendere la guerra al termine del cessate il fuoco. Sempre che nel frattempo non maturino le condizioni per un prolungamento della tregua. Witkoff, a quanto viene fatto trapelare, ha proposto anche la riapertura delle consegne umanitarie destinate alle agenzie Onu che potrebbero riprendere una distribuzione a ritmo più sostenuto, nonostante i rischi di saccheggi da parte di gruppi criminali locali e di bande legate agli estremisti. Hamas ha respinto e tentato di ostacolare il dislocamento della “Gaza Humanitarian foundation”, il cui ruolo potrebbe venire ridimensionato se gli oltre 3 mila camion in attesa di aiuti in attesa di entrare a Gaza venissero autorizzati da Israele a raggiungere i depositi delle agenzie umanitarie Onu e di altre organizzazioni non governative internazionali. L’esercito israeliano, inoltre, dovrebbe ritirarsi nelle posizioni che occupava prima dell’inizio della nuova offensiva a marzo, a Nord della Striscia e in alcune sacche del Sud.
Gli Usa hanno inoltrato il piano ad Hamas dopo avere ottenuto l’approvazione di Israele. Come prevedibile il gruppo islamista ha preso tempo. E in serata un missile dallo Yemen è stato abbattuto dalla contraerea non lontano da Gerusalemme. Per alcuni media un “messaggio” di Teheran contro la tregua. Hamas non ha ormai un vero vertice politico-militare e deve concordare le decisioni sul terreno con le altre milizie che dagli accordi temono di uscire indebolite, specialmente dopo che non avranno più ostaggi per negoziare.
Il bilancio delle vittime ieri è stato aggiornato dalle autorità sanitarie controllate da Hamas a a 54.249, «la maggior parte delle quali donne e bambini». Il numero di feriti ha raggiunto 123.492, con migliaia ancora intrappolati sotto le macerie, «poiché gli sforzi di salvataggio rimangono gravemente ostacolati dal bombardamento in corso», spiegano le stesse fonti da Gaza. Le cifre non includono i feriti nel Nord di Gaza, dove l’accesso agli ospedali rimane impossibile a causa di pesanti combattimenti.
Le forze di difesa israeliane (Idf) hanno distribuito volantini che esortano i residenti delle zone settentrionali di Gaza a evacuare verso sud. Il portavoce militare in lingua araba, Avichay Adraee, ha esortato anche attraverso i social media la popolazione a stare lontana dalla zona di Nuseirat, dove sono attesi scontri ravvicinati tra esercito e milizie in attesa che si giunga a un accordo per il cessate il fuoco. «Assieme al brutale attacco in corso a Gaza, Israele sta utilizzando una campagna sistematica di sfollamento per rinchiudere oltre 2 milioni di civili in 5 aree costiere sovraffollate e prive di qualsiasi servizio, che costituiscono meno del 20% del territorio della Striscia», denuncia Oxfam.
A pagare il prezzo della guerra è anche la Cisgiordania. Nei giorni scorsi gruppi di coloni armati hanno stabilito nuovi insediamenti illegali alla periferia di Ramallah mentre il governo di Aviv Tel Aviv, ha confermato l’approvazione di 22 nuovi insediamenti, facendo scendere a meno del 20% il territorio cisgiordano effettivamente controllato dalla Palestina. La decisione include la costruzione di nuove colonie e la legalizzazione di altre preesistenti. Iniziative che però non sono ammesse dal diritto internazionale. Il provvedimento è stato annunciato da Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e colono. Ha parlato di «decisione generazionale, storica» che arriva «58 anni dopo la liberazione della Giudea e della Samaria», riferendosi all’occupazione israeliana della Cisgiordania dal 1967. Smotrich ha anche fatto sapere che non intende sostenere un nuovo accordo per il cessate il fuoco a Gaza, ma il via libera ottenuto per i nuovi insediamenti potrebbe mitigare la sua posizione. «Lo Stato di Israele - ha detto - è tornato sulla via della costruzione, del sionismo». Parole che dall’altra parte del muro di divisione dalla Cisgiordania vengono interpretate come l’ennesima dichiarazione di guerra all’intera Palestina.
La mossa del premier israeliano ha preceduto la risposta degli estremisti, messi con le spalle al muro nel momento più difficile dei 600 giorni di guerra. Rifiutare un cessate il fuoco di due mesi, nel momento peggiore per la situazione umanitaria a Gaza, risulterebbe incomprensibile anche a molti sostenitori del gruppo armato a cui è richiesto di rilasciare 10 ostaggi su 58, ottenendo in cambio la scarcerazione di oltre un centinaio di detenuti palestinesi condannati all’ergastolo e la liberazione di un migliaio di cittadini di Gaza trattenuti in “detenzione amministrativa” da Israele. Già domani potrebbero avvenire i primi scambi, con cinque ostaggi consegnati nelle mani della Croce Rossa a Gaza e contemporaneamente la scarcerazione del primo gruppo di ergastolani palestinesi. Sul tavolo Witkoff ha messo anche calibri pesanti delle formazioni radicate in Cisgiordania, mentre non è più un tabù, a quanto apprende “Avvenire” da fonti a Ramallah e a Tel Aviv, l’ipotesi di potere un giorno rilasciare anche Marwan Barghouti, l’indiscusso leader palestinese la cui scarcerazione è in parte temuta anche da una parte dell’attuale leadership, dato il consenso ampio e trasversale di cui il fedelissimo di Yasser Arafat, padre dell’attuale stato palestinese, gode nonostante gli oltre vent’anni trascorsi in carcere. Il “si” di Netanyahu al piano americano non è incondizionato. Parlando alle famiglie degli ostaggi, il capo del governo israeliano ha detto di essere “pronto ad andare avanti” verso un accordo per la restituzione degli israeliani imprigionati da Hamas e dagli altri gruppi affiliati, e per un cessate il fuoco di almeno 60 giorni.
Il punto su cui Hamas ha opposto maggiore resistenza riguarda la possibilità per Israele di riprendere la guerra al termine del cessate il fuoco. Sempre che nel frattempo non maturino le condizioni per un prolungamento della tregua. Witkoff, a quanto viene fatto trapelare, ha proposto anche la riapertura delle consegne umanitarie destinate alle agenzie Onu che potrebbero riprendere una distribuzione a ritmo più sostenuto, nonostante i rischi di saccheggi da parte di gruppi criminali locali e di bande legate agli estremisti. Hamas ha respinto e tentato di ostacolare il dislocamento della “Gaza Humanitarian foundation”, il cui ruolo potrebbe venire ridimensionato se gli oltre 3 mila camion in attesa di aiuti in attesa di entrare a Gaza venissero autorizzati da Israele a raggiungere i depositi delle agenzie umanitarie Onu e di altre organizzazioni non governative internazionali. L’esercito israeliano, inoltre, dovrebbe ritirarsi nelle posizioni che occupava prima dell’inizio della nuova offensiva a marzo, a Nord della Striscia e in alcune sacche del Sud.
Gli Usa hanno inoltrato il piano ad Hamas dopo avere ottenuto l’approvazione di Israele. Come prevedibile il gruppo islamista ha preso tempo. E in serata un missile dallo Yemen è stato abbattuto dalla contraerea non lontano da Gerusalemme. Per alcuni media un “messaggio” di Teheran contro la tregua. Hamas non ha ormai un vero vertice politico-militare e deve concordare le decisioni sul terreno con le altre milizie che dagli accordi temono di uscire indebolite, specialmente dopo che non avranno più ostaggi per negoziare.
Il bilancio delle vittime ieri è stato aggiornato dalle autorità sanitarie controllate da Hamas a a 54.249, «la maggior parte delle quali donne e bambini». Il numero di feriti ha raggiunto 123.492, con migliaia ancora intrappolati sotto le macerie, «poiché gli sforzi di salvataggio rimangono gravemente ostacolati dal bombardamento in corso», spiegano le stesse fonti da Gaza. Le cifre non includono i feriti nel Nord di Gaza, dove l’accesso agli ospedali rimane impossibile a causa di pesanti combattimenti.
Le forze di difesa israeliane (Idf) hanno distribuito volantini che esortano i residenti delle zone settentrionali di Gaza a evacuare verso sud. Il portavoce militare in lingua araba, Avichay Adraee, ha esortato anche attraverso i social media la popolazione a stare lontana dalla zona di Nuseirat, dove sono attesi scontri ravvicinati tra esercito e milizie in attesa che si giunga a un accordo per il cessate il fuoco. «Assieme al brutale attacco in corso a Gaza, Israele sta utilizzando una campagna sistematica di sfollamento per rinchiudere oltre 2 milioni di civili in 5 aree costiere sovraffollate e prive di qualsiasi servizio, che costituiscono meno del 20% del territorio della Striscia», denuncia Oxfam.
A pagare il prezzo della guerra è anche la Cisgiordania. Nei giorni scorsi gruppi di coloni armati hanno stabilito nuovi insediamenti illegali alla periferia di Ramallah mentre il governo di Aviv Tel Aviv, ha confermato l’approvazione di 22 nuovi insediamenti, facendo scendere a meno del 20% il territorio cisgiordano effettivamente controllato dalla Palestina. La decisione include la costruzione di nuove colonie e la legalizzazione di altre preesistenti. Iniziative che però non sono ammesse dal diritto internazionale. Il provvedimento è stato annunciato da Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e colono. Ha parlato di «decisione generazionale, storica» che arriva «58 anni dopo la liberazione della Giudea e della Samaria», riferendosi all’occupazione israeliana della Cisgiordania dal 1967. Smotrich ha anche fatto sapere che non intende sostenere un nuovo accordo per il cessate il fuoco a Gaza, ma il via libera ottenuto per i nuovi insediamenti potrebbe mitigare la sua posizione. «Lo Stato di Israele - ha detto - è tornato sulla via della costruzione, del sionismo». Parole che dall’altra parte del muro di divisione dalla Cisgiordania vengono interpretate come l’ennesima dichiarazione di guerra all’intera Palestina.
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