venerdì 25 marzo 2022
La denuncia del vicesindaco Orlov: «La gente si nasconde come può per sfuggire alle bombe che cadono al ritmo di un centinaio al giorno. La città ormai non esiste più»
Corpi per le strade di Mariupol: «Non ci lasciano nemmeno seppellirli»

Consiglio comunale di Mariupol

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Non dice dove si trova. «Mi dispiace, non posso, per ragioni di sicurezza», spiega. Sergeij Orlov, 44 anni, confida solamente di essere abbastanza vicino a Mariupol da sentire con chiarezza le bombe cadere sulla città di cui è vicesindaco e che ha dovuto lasciare con dolore inimmaginabile. Mercoledì lo ha seguito anche il primo cittadino, Vadym Boychenko.

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«Ha dovuto farlo per poter continuare a lavorare», ha spiegato l’amministrazione. «La mia testa e il mio cuore sono, però, a Mariupol – racconta Orlov –. Là sono rimasti mia madre, mio padre, mio fratello. Non ho notizie di loro da due settimane. So solo che il distretto in cui abitano non c’è più: al suo posto, si vede solo un cumulo di macerie. Non ho idea se siano vivi o morti, spero di rivederli, con tutto me stesso». La moglie Tania e la figlia Juna hanno, invece, raggiunto Cirò Marina, in Calabria, dove sono state accolte dalla zia che si era trasferita dopo il matrimonio con un italiano. «Almeno loro sono al sicuro», afferma. Dal telefono, la voce arriva a singhiozzo, spesso la linea si interrompe ma il vice-sindaco non cede: vuole testimoniare quanto sta accadendo nella sua terra. Ogni giorno, a staffetta, i concittadini con ancora un po’ di carica sul cellulare trovano il modo di informarlo.

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Le comunicazioni sono telegrafiche ed essenziali. Le volte fortunate, però, insieme a frammenti di notizie inviano perfino foto e brevi video. Orlov conserva gli scatti e annota i dati in modo da avere un quadro dell’evolversi della situazione. «Sono ormai trascorsi ventitré giorni dall’inizio dell’offensiva. Da allora, i residenti non hanno acqua né elettricità. Alcuni sciolgono la neve nei secchi per lavarsi. Si nascondono come riescono per sfuggire alle bombe. Non possono nemmeno seppellire i morti. Sono costretti a lasciare i cadaveri in giardino o fuori dalla porta di casa, avvolti in un lenzuolo. Si rende conto? Alla sofferenza della perdita si somma quella di dover “gettare via” il corpo. Non hanno altra scelta: chiunque esce diventa un bersaglio».

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Anche scappare è difficile: i corridoi umanitari non hanno mai funzionato, più volte le auto in fuga sono state centrate. «Mosca taglia le vie di fuga verso il resto dell’Ucraina. Cerca in ogni modo di spingere la popolazione verso la Russia». Non si sa quanti dei 400mila abitanti registrati prima dell’attacco siano ancora all’interno della città assediata. Il presidente Volodymir Zelensky parla di almeno centomila intrappolati. «L’unica cosa certa è che sono allo stremo. In pratica, l’intera Mariupol è stata distrutta. L’aviazione di Mosca non ha fatto distinzione: si è accanita sulle strutture pubbliche, sulle case private, sulle infrastrutture, perfino sugli ospedali. L’impianto di Azovstal, uno dei maggiori siti metallurgici d’Europa, è stato raso al suolo. Ormai non c’è più un edificio in piedi. Guardi lei stessa», aggiunge mentre condivide su WhatsApp le ultime immagini di devastazione ricevute.

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Si vedono strade squarciate da enormi crateri, corpi accumulati su quel che resta dei marciapiedi, case sventrate. Gli scatti non possono essere verificati ma somigliano tragicamente a quelli catturati due giorni fa dal satellite di Maxar, una società specializzata. «È un gigantesco cimitero ma Vladimir Putin continua a colpire. Abbiamo contato un centinaio di esplosioni al giorno».


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Eppure la città bagnata dal mare d’Azov, punto strategico di congiunzione tra Donbass e Crimea, continua a resistere. «Mercoledì, i militari russi hanno sfondato e sono entrati a Mariupol ma non hanno potuto procedere. I nostri soldati sono riusciti a fermarli dopo pochi chilometri, nonostante la sproporzione numerica. Il fatto è che loro obbediscono agli ordini: secondo le mie fonti, c’erano anche brigate cecene e siriane. I militari ucraini, invece, combattono per difendere sé stessi e i civili inermi. È questa la loro forza».

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