mercoledì 13 maggio 2015
​Il patriarca copto: accettare l'altro è solo l'inizio del dialogo. A Firenze il confronto sulle persecuzioni dei cristiani.  
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L’attualità, la tragica attualità con cui ogni giorno ci confrontiamo sulla sponda meridionale del Mediterraneo – dal martirio di Aleppo in Siria all’anarchia nella Libia del dopo– Gheddafi fino all’ininterrotta catena di naufragi dei migranti – irrompe inevitabile nell’agenda del Festival delle Religioni 2015 (ideato dalla filosofa Francesca Campana Comparini) che si è aperto ieri a Firenze. Molte le voci, e quasi tutte parlano di una pace possibile, ma soprattutto della distanza abissale fra la religione e la guerra, fra il credo e il fanatismo. «Oggi – dice il rabbino capo di Gerusalemme Rav Aryeh Stern – si parla molto dell’estremismo islamico: ho incontrato numerosi capi islamici e questo non è assolutamente il loro modo di concepire e di vivere la religione. Non troviamo nessun principio nell’islam, nel cristianesimo o nell’ebraismo che legittimi l’uso della violenza contro gli innocenti». Ma la realtà con la sua crudezza impone scelte coraggiose: «Siamo preoccupati dal risveglio del fanatismo religioso – commenta il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal –, dalla nascita dello Stato islamico, dalla situazione in Siria e in Iraq. Senza considerare che l’Is è sfuggito di mano a chi l’ha creato. Le violenze di oggi in Medio Oriente – continua il patriarca – avvengono per interessi politici, ma questa è una politica internazionale senza etica né morale: per i loro interessi sacrificano di tutto. Se ci fosse più etica, più morale, non saremmo arrivati a questo punto triste. Mai l’umanità era arrivata a tal punto di disumanità. Per il bene di Israele e dei vicini è opportuno risolvere il conflitto e non solo gestirlo. È necessario che la comunità internazionale intervenga seriamente, dato che dopo tanti anni, le varie parti non riescono a trovare un accordo. La Terra Santa non potrà mai essere proprietà esclusiva di un popolo. La sicurezza del popolo israeliano dipende da quella del popolo palestinese. Sono convinto che in questa terra o vivremo insieme o moriremo insieme». Particolarmente sentito l’intervento del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: «Il tema del dialogo interreligioso è assolutamente cruciale per il futuro del Mediterraneo e del Medio Oriente. La realtà però ci spinge a delle scelte. Scelte difficili: se parliamo di colpire gli scafisti veniamo accusati di volere la guerra; se aiutiamo i profughi, di sprecare dei soldi; se facciamo politiche di accoglienza, di favorire l’illegalità. Ora c’è sul tavolo una proposta delle Nazioni Unite. Io credo che sia una proposta ragionevole, tutta la comunità internazionale la sostiene. Mi auguro che nei prossimi 20–25 giorni, prima dell’inizio del Ramadan, si arrivi finalmente a stabilire un consenso più largo che ci servirà anche per l’emergenza immigrazione ma soprattutto che stabilizzi la Libia ed eviti il diffondersi di minacce anche sul piano del terrorismo». Ma l’intervento più atteso è stato quello del patriarca della Chiesa orientale copta Tawadros II ( Teodoro II), patriarca di Alessandria d’Egitto, forse come la voce più rappresentativa dei cristiani oppressi in Africa e nel Medio Oriente, territori in cui la Chiesa copta è particolarmente diffusa. «Noi copti d’Egitto – dice il patriarca – ci troviamo a metà strada fra Occidente e Oriente. Una posizione unica. Non esiste libertà senza civiltà e senza cultura. Il terrorismo, la discriminazione non sono libertà né cultura, sono il frutto di chi guarda il mondo nello specchio e non vede altro che se stesso e ritiene tutti gli altri dei nemici. Il cristianesimo è amore, pace, dialogo. La Chiesa egiziana ha pagato un alto tributo di violenza durante le ultime rivoluzioni. Ma continua a sperare e ad esistere». Difficile confrontarsi con chi fino a pochi mesi fa – come facevano i Fratelli musulmani fedeli al deposto presidente Morsi – attaccava chiese e fedeli perché cristiani e più ancora con chi ha trucidato su una spiaggia dei copti solo perché di un credo differente. «In realtà noi cristiani non siamo così diversi dall’islam. Ci assomigliamo. Possiamo convivere benissimo. Accettare l’altro è solo l’inizio del dialogo». Nonostante il Daesh? «Il Daesh vuol trasmettere un messaggio di minaccia a tutti. Ma la comunità internazionale deve attivarsi e persuadere i governi del Medio Oriente ad intervenire per contrastarlo». 

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