giovedì 31 maggio 2018
Povertà, guerre, discriminazioni di genere minacciano 1,2 miliardi di minori in moltissimi stati. Ultimo il Niger, primi Slovenia e Singapore, Italia ottava, poi Usa, Russia e Cina tra 36° e 40° posto
Sud Sudan  (Chris de Bode per Save the Children)

Sud Sudan (Chris de Bode per Save the Children)

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Più di un miliardo e 200 milioni di bambini rischiano di morire prima di aver compiuto 5 anni. Di soffrire per tutta la vita le conseguenze della malnutrizione. Di non andare a scuola e quindi essere costretti a lavorare o a sposarsi troppo presto. Povertà, conflitti, discriminazioni contro le bambine sono i tre nemici dell'infanzia per oltre la metà dei minori al mondo. Di cui 153 milioni vivono in Paesi in cui tutte e tre queste gravi minacce - povertà, conflitti e discriminazioni di genere - sono purtroppo ben presenti.
Dati drammatici, resi noti alla vigilia della Giornata internazionale dei bambini del 1° giugno, nel nuovo rapporto Le tante facce dell'esclusione diffuso da Save the Children, l’organizzazione internazionale che dal 1919 lotta per proteggere i bambini. La maglia nera nella classifica dei paesi più rischiosi per l’infanzia è il Niger, seguito da Mali, Repubblica Centrafricana, Ciad e Sud Sudan, nella classifica stilata per il secondo anno consecutivo da Save the Children per 175 Paesi.


La lista virtuosa dei Paesi più a misura di bambino è condotta invece a pari merito da Singapore e Slovenia, seguiti a ruota dagli scandinavi Norvegia, Svezia e Finlandia. L'Italia si posiziona invece all'ottavo posto a pari merito con la Corea del Sud, guadagnando una posizione rispetto allo scorso anno, anche se nel nostro Paese quasi 1 milione e 300 mila bambini e ragazzi vivono in condizioni di povertà assoluta. Stati Uniti, Russia e Cina (rispettivamente al 36°, 37° e 40° posto), si trovano dietro la maggior parte dei Paesi dell'Europa occidentale .


Ben più di 1 miliardo di bambini nel mondo, dunque, vive in Paesi affetti dalla povertà, 240 milioni in aree dilaniate dai conflitti, oltre 575 milioni di bambine e ragazze si trovano in contesti caratterizzati da gravi discriminazioni di genere nei loro confronti. «Benché, rispetto allo scorso anno, abbiamo riscontrato importanti passi avanti in 95 Paesi su 175 – dichiara Valerio Neri, direttore generale di Save the Children – questi miglioramenti non stanno avvenendo abbastanza velocemente e, anzi, in ben 40 Paesi le condizioni di vita dei bambini sono notevolmente peggiorate. Senza sufficienti azioni urgenti, infatti, il mondo non riuscirà a raggiungere l'obiettivo di garantire, entro il 2030, salute, educazione e protezione a tutti i minori, come previsto dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati dall'Onu nel 2015». Neri sottolinea la grave condizione di 100 milioni di ragazze, che rischiano «di essere costrette a sposare uomini spesso molto più grandi di loro quando sono ancora soltanto delle bambine».

Vivere in contesti di grave povertà

Nei Paesi in via di sviluppo, 1 minore su 5 vive in povertà estrema, soprattutto in Africa sub-sahariana (il 52% del totale a livello globale) e Asia meridionale (36%), con l'India che da sola tocca quota 30% . Ma la piaga della povertà riguarda anche le aree più avanzate, con ben 30 milioni di minori nei Paesi OCSE vivono in povertà relativa grave, 6 milioni solo negli Usa. Vivere in un contesto di povertà crea forti ostacoli alla sopravvivenza: ogni giorno più di 15 mila bambini muoiono prima dei 5 anni per cause facilmente curabili Nei Paesi a basso reddito, infatti, 1 minore su 3 in età non va a scuola, rispetto a meno di 4 su 100 nei contesti ad alto reddito. Per l'Unesco se tutti i bambini completassero gli studi primari e secondari, più di 420 milioni di persone uscirebbero dal ciclo della povertà, con una riduzione di oltre la metà delle persone in condizioni di povertà in tutto il mondo. Dal rapporto di Save the Children emerge inoltre la stretta correlazione tra povertà e lavoro minorile, oltre che matrimoni e gravidanze precoci. Nei Paesi meno sviluppati, è costretto a lavorare 1 minore su 4, piaga che peraltro non risparmia nemmeno i Paesi più ricchi, con ben 2 milioni di bambini e adolescenti che lavorano, perdendo così l'opportunità di studiare.

Diritti negati nelle zone di guerra

Nei Paesi in conflitto, malnutrizione, malattie e mancanza di accesso alle cure uccidono molto più delle bombe: 1 bambino su 5 al mondo che muore prima dei cinque anni si trova in Paesi fragili e afflitti dai conflitti, così come più di tre quarti dei minori malnutriti a livello globale pari a 122 milioni. A causa dei conflitti, 27 milioni di minori sono tagliati fuori dall'educazione. La mancanza di accesso all'educazione riguarda particolarmente i bambini rifugiati che hanno 5 volte in più la probabilità di non frequentare la scuola rispetto ai coetanei non rifugiati. E anche le possibilità che i bambini siano costretti a lavorare, per contribuire al sostentamento delle proprie famiglie, sono di gran lunga maggiori nelle aree di conflitto (+77% rispetto alla media globale) «Pensiamo, per esempio, a Paesi come la Siria o lo Yemen, dove i bambini, nelle loro giovanissime vite, finora non hanno conosciuto altro che bombe, violenza e disperazione; oppure alle gravi crisi umanitarie di cui sono vittime i bambini Rohingya, quelli in fuga dalla Repubblica Democratica del Congo, i tanti minori gravemente malnutriti che lottano per sopravvivere in Somalia, uno dei Paesi più poveri al mondo, sconvolto negli ultimi mesi da una gravissima siccità e da decenni dilaniato da instabilità», afferma Valerio Neri.

Contro le bambine discriminazioni quotidiane

Nonostante i molti progressi rispetto al passato, in 55 Paesi su 175 le discriminazioni di genere sono all'ordine del giorno. Rispetto ai coetanei maschi, le ragazze hanno maggiori probabilità di non mettere mai piede in classe nella loro vita. Circa 15 milioni di bambine in età scolare (scuola primaria) non avranno mai la possibilità di imparare a leggere e scrivere rispetto a 10 milioni di coetanei maschi. Di queste, 9 milioni vivono in Africa sub-sahariana , dove d'altra parte si trovano ¾ delle ragazze fuori dalla scuola nel mondo. I matrimoni precoci poi sono tra i fattori trainanti della negazione, per le bambine e le ragazze, dell'opportunità di apprendere e ricevere un'educazione. Oggi, nel mondo, 12 milioni di ragazze si sposano ogni anno prima dei 18 anni - spesso perché le famiglie più svantaggiate credono che sia l'unica via per assicurare loro il sostentamento - e ai ritmi attuali si stima che entro il 2030 tale cifra supererà i 150 milioni. Una sposa bambina su 3, vive nei Paesi subsahariani, e circa 100 milioni di ragazze oggi vivono in Paesi dove i matrimoni precoci sono legali. Il fenomeno delle spose bambine è particolarmente rilevante anche nelle aree colpite dai conflitti, dove in molti casi le famiglie organizzano i matrimoni per proteggere le figlie da abusi e violenze sessuali. Tra i rifugiati siriani in Giordania, ad esempio, la percentuale di ragazze sposate prima dei 18 anni è cresciuta dal 12% nel 2011 al 32% nel 2014. In Yemen le spose bambine sono i 2/3 delle giovani nel Paese, erano la metà prima del conflitto. E le gravidanze precoci di 7,8 milioni di adolescenti portano complicazioni che rappresentano la prima causa di morte al mondo per le giovani tra i 15 e i 19 anni. L'analisi mette infine in evidenza la piaga delle violenze fisiche e sessuali - mutilazioni genitali femminili, stupri, prostituzione - di cui troppo spesso le bambine e le ragazze sono vittime nel mondo. Circa 120 milioni di ragazze, 1 su 10 a livello globale, nella loro vita hanno subito forme di violenze sessuali, più di 1 su 5 in Bangladesh e in Camerun. Ma anche in Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito più di 1 ragazza su 10 ha subito almeno un episodio di violenza sessuale prima dei 15 anni.

(Il rapporto completo può essere scaricato a questo link https://we.tl/PQdtao6mF0)



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