martedì 29 aprile 2025
Il Rapporto 2024-2025 denuncia una crescente delegittimazione delle istituzioni internazionali da parte dei governi e l'aumento di legislazioni repressive e autoritarie. Anche da parte degli Usa
La presentazione del Rapporto 2024-2025 a Bruxelles: a destra, la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard

La presentazione del Rapporto 2024-2025 a Bruxelles: a destra, la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard - Ansa

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«Il mondo può essere un luogo infernale per le persone quando gli stati più potenti abbandonano il rispetto del diritto internazionale e ignorano le istituzioni multilaterali». In questa osservazione di Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, è condensato il rapporto annuale dell’organizzazione, Lo stato dei diritti umani nel mondo, presentato stamani a Bruxelles. Da Gaza al Sudan, dalla Repubblica democratica del Congo al Myanmar, il rapporto, focalizzato sul 2024, analizza il (mancato) rispetto dei diritti umani in aree calde del pianeta, dove sono in corso conflitti armati che coinvolgono in maniera diretta e massiccia la popolazione civile. Sotto accusa i regimi repressivi – è il caso dei generali al potere in Myanmar – e teocratici, come quello dei taliban in Afghanistan e degli ayatollah in Iran.

Ma l’Occidente non è risparmiato: oltre a Israele, per il quale la segretaria generale di Amnesty parla di «genocidio israeliano dei palestinesi a Gaza trasmesso in diretta streaming ma inascoltato», nel rapporto ci sono gli Stati Uniti di Donald Trump e persino l’Italia. «L'effetto Trump – sostiene il rapporto - sta mettendo il turbo al disfacimento dei rispetto dei diritti umani, ponendo a rischio miliardi di persone in tutto il pianeta». Il riferimento è alla raffica di ordini esecutivi firmati dal 47esimo presidente Usa che minano i diritti umani dei migranti e di diverse minoranze, a cominciare dall’abolizione della tutela delle diversità di ogni tipo nelle istituzioni pubbliche, anche quelle scolastiche e universitarie. «A cento giorni dal suo mandato – afferma Amnesty – il presidente Trump ha mostrato un assoluto disprezzo per i diritti umani universali. Il suo assalto totale ai concetti stessi di multilateralismo, asilo, giustizia razziale, genere, salute globale e azione climatica sta esacerbando il danno incoraggiando altri leader e movimenti contrari ai diritti umani a unirsi al suo assalto».

Quanto all’Italia, finisce nel mirino per aver tentato di «inviare richiedenti asilo salvati in mare in Albania per esaminare le loro richieste fuori dal territorio nazionale» e per «sostenere la Libia nel trattenere i migranti nonostante le prove di gravi violazioni dei diritti umani». Secondo il rapporto, il governo di Giorgia Meloni avrebbe «cercato di screditare i giudici che non avevano convalidato gli ordini di detenzione» in Albania «minando la loro indipendenza». Inoltre, «le condizioni nei centri di rimpatrio per migranti non rispettino gli standard internazionali, con persone detenute in gabbie spoglie, mobili in cemento, servizi igienici inadeguati». Amnesty sottolinea inoltre che tre procedure speciali delle Nazioni Unite «hanno espresso preoccupazione per le restrizioni imposte dall'Italia alle attività dei difensori dei diritti umani impegnati nel salvataggio di vite in mare».

Nelle pagine del rapporto si analizza la situazione dei diritti umani in 150 stati, portando allo scoperto l’insinuarsi di pratiche autoritarie e di feroci repressioni del dissenso. «Assistiamo da anni a una strisciante diffusione di pratiche autoritarie, alimentate da leader candidatisi o eletti con l’intenzione di essere agenti di distruzione – osserva Callamard -. Ci hanno trascinato in una nuova era di agitazioni e crudeltà». Elemento centrale dell’assalto ai diritti umani, documentato da Amnesty, è la proliferazione di leggi, politiche e pratiche contro la libertà d’espressione, di associazione e di riunione pacifica. I governi hanno rafforzato i loro poteri e istillato paura mettendo al bando organi d’informazione, smantellando o sospendendo Ong e partiti politici, imprigionando con accuse infondate di “terrorismo” o “estremismo” persone che li hanno criticati e criminalizzando chi ha difeso i diritti umani, si è attivato per la giustizia climatica o ha espresso in altro modo il proprio dissenso. In numerosi stati si è fatto ricorso ad arresti arbitrari, sparizioni forzate e all’uso sproporzionato della forza per sopprimere la disobbedienza civile. Qualche esempio: i quasi mille morti del Bangladesh, l’estate scorsa, quando la polizia ha sparato sulle proteste studentesche; i 230 dimostranti uccisi in Mozambico dalle forze di sicurezza perché contestavano la regolarità del risultato elettorale; il divieto di protesta in Turchia; la legge marziale dichiarata in Corea del Sud dal presidente Yoon Suk Yeol, che però è stato poi deposto. Un caso, quest’ultimo, di come sia possibile che la protesta di massa per i diritti umani riesca a ottenere il risultato auspicato. Ed è violazione dei diritti anche l’uccisione dei civili ucraini da parte della Russia, come la violazione dell’embargo sulle armi dirette in Darfur, che alimentano la guerra civile in Sudan, con i suoi 11 milioni di sfollati interni. In Myanmar i rohingya continuano a subire attacchi razzisti e molti di loro hanno dovuto sfollare dallo stato di Rakhine. Il massiccio taglio degli aiuti al resto del mondo deciso dall’amministrazione Trump ha aggravato la situazione dei rifugiati nella vicina Thailandia e in molte altre parti del mondo. Uno dei peggiori posti in cui vivere, in tutto il pianeta, è lo Yemen: malnutrizione, colera e malattie si aggiungono a un’estrema povertà e ai postumi di una guerra civile che ha portato alla frammentazione del Paese. Qui i diritti delle donne, dei bambini, degli ammalati, e in definitiva di buona parte della popolazione, sono calpestati quotidianamente.

In tutto questo, si assiste da parte di potenti capi di governo al ripetuto screditamento di istituzioni internazionali che, a cominciare dalle Nazioni Unite, non sono perfette ma costituiscono l’unico argine esistente in difesa dei diritti umani. «Il costo è gigantesco – scrive Amnesty -: la perdita di protezioni vitali sorte per salvaguardare l’umanità dopo gli orrori dell’Olocausto e della Seconda guerra mondiale». Pensando ai giovani, e alla tutela dei loro diritti, preoccupa il surriscaldamento del pianeta e l’accentuarsi delle disuguaglianze economiche. Il Rapporto 2024-2025 contiene «evidenti prove che il mondo sta condannando le future generazioni a un futuro ancora più duro a causa dei fallimenti collettivi nel contrastare la crisi climatica, nell’invertire le sempre più profonde ineguaglianze e nel porre un freno al potere delle imprese». La prospettiva è ancora più pesante per le donne e per le persone Lgbt, vittime di discriminazione in numerosi Paesi. Basti pensare alla situazione delle donne afghane, allontanate dalla scuola superiore e dalla maggior parte dei posti di lavoro escludendole di fatto dalla vita pubblica, ma anche all’Iran dove le proteste contro l’obbligo di indossare il velo sono state brutalmente represse con la forza. In Messico e in Colombia i collettivi di donne che cercano i loro cari di cui non hanno più notizia subiscono minacce e aggressioni. Malawi, Mali e Uganda hanno introdotto norme per criminalizzare o rafforzare divieti sulle relazioni omosessuali. Georgia e Bulgaria hanno seguito la Russia nella repressione della cosiddetta “propaganda Lgbt”.

A rischio anche i diritti degli utenti dei social media, in particolare i più giovani: incoraggiate dall’Amministrazione Trump, le aziende proprietarie delle piattaforme stanno rafforzando modelli di business aggressivo che favorisce i contenuti d’odio, limita le protezioni e ostacola il fact-checking.

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