sabato 26 novembre 2016
Padre George torna nella sua città: «Una mappa dei danni. Poi ricostruire»
Don Georges dentro la cattedrale bruciata (Foto di Paolo Pergolizzi)

Don Georges dentro la cattedrale bruciata (Foto di Paolo Pergolizzi)

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Chiese, seminari e case saccheggiati e devastati dalle fiamme, croci spezzate, madonne decapitate e scritte contro i cristiani ovunque. Quello che un tempo era il più grande centro cristiano dell’Iraq, circa 50mila abitanti, oggi è una città fantasma dove regna il silenzio interrotto solo dai colpi di mortaio che ti ricordano che, a pochi chilometri da lì, si combatte ancora per liberare il centro di Mosul dal Daesh. I miliziani del Daesh ne avevano fatto uno dei loro insediamenti e vivevano nelle case dei cristiani fuggiti quando sono arrivati i soldati iracheni. Qaraqosh è stata liberata circa un mese fa e ora i suoi abitanti stanno facendo timidamente ritorno, in giornata, nelle loro case.


Fra i primi a rientrare nella città don Georges Jahola, incontrato grazie a due giovani cristiani che ora lavorano ad Erbil per “Terre des Hommes”, una delle onlus che assiste i rifugiati nei campi profughi dell’Iraq del nord. Don Georges, originario di Qaraqosh, è stato parroco in Italia per dieci anni a Malnate in provincia di Varese e ora torna nella sua città natale per guidarne la rinascita e riprendere in mano la parrocchia della cattedrale dell’Immacolata Concezione, la più grande chiesa cristiana dell’Iraq. L’esterno dell’edificio è rimasto intatto, a parte il campanile che è stato danneggiato, ma l’interno è completamente bruciato. Il chiostro è disseminato di proiettili dato che i miliziani del Daesh lo usavano come poligono da tiro. Immediato il commento di padre Georges: «Vedere Qaraqosh in queste condizioni mette una grande tristezza. Hanno voluto cancellare la storia della nostra comunità siro-cattolica.

Noi volevamo vivere in pace e istruire tutti i villaggi attorno, che sono musulmani, a fare altrettanto, ma questo, purtroppo, è stato ripagato in un altro modo.Vogliamo perdonare, ma sarà dura tornare e vivere con loro». Ayman, un giovane cristiano, ci porta nella strada principale a vedere il suo negozio, completamente distrutto dalle fiamme. Passiamo fra cumuli di macerie, negozi saccheggiati e muri cadenti e arriviamo fino alla strada principale. C’è un silenzio spettrale. «Guarda, qui una volta vendevo elettrodomestici – dice –. Ora è stato tutto rubato, non c’è più nulla. Fra la casa distrutta e il negozio, avrò avuto un danno di 300mila euro. Ricordati, amico, non ti fidare dei musulmani. Ecco quello che ci hanno fatto ».

Oltrepassato un canale, c’è un odore terribile di petrolio. Spiega Bashar, un giovane avvocato: «Lo hanno riempito di greggio e gli hanno dato fuoco». Ci porta a vedere la sua casa. La Madonna appesa alla parete è stata fatta a pezzi. I mobili sono stati portati via. A terra restano oggetti spaccati, vestiti, mischiati ai ricordi di una vita: le foto dei genitori e della sorella in vacanza, documenti. «Vedi? – dice Bashar – La controsoffittatura è stata strappata per cercare anche lì degli oggetti preziosi da rubare». Poco più in là c’è il seminario. Le fiamme hanno devastato il cortile interno sovrastato da una croce picconata e spezzata. Si vedono una Madonna con in braccio il bambin Gesù: entrambi decapitati. Vetri rotti dappertutto, tutto saccheggiato.


Padre Georges raccoglie un breviario dalla polvere. Sospira e ci racconta il suo progetto: «Abbiamo mappato tutta la città e stiamo procedendo, casa per casa, per fare una stima di tutti i danni fatti dal Daesh. Questo perché nessuno deve dimenticare quello che è accaduto qua, ma anche perché crediamo che sia compito del governo iracheno risarcire i danni. Però, dato che non so quanto sarà in grado di farlo, rivolgo un appello alla comunità internazionale. Sarebbe bello se ogni Paese si prendesse un quartiere per ricostruirlo e magari potremmo mettere la targa di quella nazione che ci ha aiutato a rinascere». Usciamo davanti al seminario. È ora di pranzo. Il cibo viene messo su un tavolo nello spiazzo davanti: riso avvolto in foglie di vite, olive, pomodori. Don Georges benedice le pietanze, una preghiera e si mangia. Poi si riparte a mappare le case una ad una.

Al ritorno, verso il tramonto, saliamo con don Georges su una collina che sovrasta la Piana di Ninive dove, davanti a una croce, sventolano la bandiera delle milizie cristiane e quella irachena. C’è un senso di pace, quella che manca ancora, purtroppo, laggiù. Il sacerdote guarda l’ultimo raggio di sole sparire dietro Mosul e si domanda: «Il Daesh sarà sconfitto, ma dopo cosa accadrà ai cristiani dell’Iraq del Nord? Non siamo né sunniti, né sciiti, né curdi. Nessuno ci darà una mano per rimanere in questa terra. Ci serve la protezione internazionale. Se il mondo vuole che questa zona non sia privata dal cristianesimo, deve farlo».



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