
Il primo ministro britannico Keir Starmer e il presidente americano Donald Trump nello studio ovale della casa Bianca - 2025 Getty Images
Il primo, lunedì, è stato Emmanuel Macron. Oggi toccherà a Volodymyr Zelensky.
Nel mezzo, ieri, è stato il turno alla Casa Bianca di Keir Starmer, quasi a fare da “trait d'union” fra Europa, Ucraina e Usa
. Al contrario del presidente francese, il premier britannico non ha un rapporto cordiale di vecchia data con Donald Trump. Anzi, nelle ultime settimane fra i due si è notata una certa distanza.
Stavolta, però, Starmer non si è presentato a mani vuote. Al contrario. Poco prima di partire per Washington, il leader dei laburisti ha annunciato l’aumento della spesa per la difesa al 2,5 per cento del Pil entro il 2027 e al 3 percento nell’arco di un decennio
. Un gesto in linea con quanto il tycoon reclama a gran voce: più soldi per la sicurezza da parte dei Paesi europei, accusati di «abusare» della generosità americana. Non sorprende, dunque, che l’Amministrazione si sia definita «molto soddisfatta».
Pur di confermare quella «relazione speciale» tra Stati Uniti e Gran Bretagna risalente dai tempi di Churchill, l’ex avvocato specializzato nella difesa dei diritti umani ha proposto – pur a malincuore, in base alle sue affermazioni – la stessa ricetta dell’ultrà d’Oltreoceano: il taglio dei fondi alla cooperazione internazionale
. «Siamo un governo pragmatico», si è giustificato. In un mondo «sempre più pericoloso – ha aggiunto prima di decollare – è più importante che mai restare uniti fra alleati». A partire dall’Ucraina, la priorità. L’accordo appare all’orizzonte e di questo Starmer ha «ringraziato» Trump che «ha cambiato il passo».
In apparenza, la sintonia è totale. Il capo della Casa Bianca – dopo aver definito il premier britannico «una persona speciale» – si è detto certo che Vladimir Putin «manterrà la parola data» e «onorerà l’intesa» che emergerà dai negoziati. «Non invaderebbe di nuovo, solo io gli parlo», ha precisato.
Tutto a posto, dunque? Non proprio. Oltre ad aver ribadito il no all’entrata dell’Ucraina nella Nato, il presidente Usa ha anche frenato sulla missione di peacekeeping sostenuta da Macron e a cui la Gran Bretagna si è offerta di contribuire. «Prima pensiamo al cessate il fuoco»
, ha concluso. E alla domanda dei reporter sulla definizione di Zelensky come «dittatore», nella conferenza stampa al termine del summit, ha risposto senza battere ciglio: «L’ho detto io? Non credo», smentendo quanto aveva addirittura scritto su Truth.
Come niente fosse, ha annunciato anzi il faccia a faccia con il presidente ucraino oggi alla Casa Bianca. Con Zelensky «abbiamo ottimi rapporti», ha ribadito Trump
il quale ha confermato che, al termine del colloquio, ci sarà la firma dell’accordo con cui vengono garantiti a Washington ampi margini nello sfruttamento delle terre rare ucraine. Un «passo importante», l’ha definito, perché «ci farà entrare nel Paese e lavorare lì». Sarà una «rete di sicurezza», ha affermato, la stessa espressione utilizzata dai leader Ue a proposito del contingente che dovrebbe assicurare il rispetto delle decisioni prese. Ora, nell’ottica trumpiana,
i minerali critici diventano dunque la «garanzia»
.
È la speranza di Kiev che, non senza reticenza, ha accettato l’intesa pur di non perdere del tutto l’appoggio Usa. I primi risultati dei colloqui di Istanbul tra Mosca e Washington non sono incoraggianti. Putin si dice speranzoso ma ribadisce l’indisponibilità del Cremlino a discutere la restituzione dei territori ucraini conquistati dalla Russia dopo l’invasione.
Non solo la Crimea, annessa nel 2014 ma anche le regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk. Richieste «ridicole» le ha bollate Kiev
. Resta da capire – nonostante la mediazione Ue che ha invitato Zelensky giovedì prossimo al vertice straordinario Ue sulla difesa – quanta voce in capitolo avrà in realtà.