Perché potrebbe essere davvero il momento di una tregua a Gaza
L'annuncio di Trump: Israele ha accettato l'accordo. Si attende la risposta di Hamas, che chiede la fine del conflitto. Ma dopo la guerra dei 12 giorni con l'Iran molto è cambiato. Anche in Israel

Il presidente americano Donald Trump ha annunciato, sul suo social Truth, che Israele ha accettato le condizioni per un cessate il fuoco di 60 giorni nella Striscia di Gaza. I mediatori di Egitto e Qatar presenteranno la proposta "finale” ad Hamas. Un funzionario del gruppo, Taher al-Nunu, ha dichiarato che Hamas è «pronta ad accettare qualsiasi iniziativa che porti chiaramente alla fine completa della guerra». «Spero, per il bene del Medio Oriente, che Hamas accetti questo accordo, perché la situazione può solo peggiorare», ha minacciato Trump. L’annuncio è arrivato dopo i colloqui, a Washington, fra il ministro israeliano per gli Affari strategici Ron Dermer e alti funzionari dell’Amministrazione, tra cui il vicepresidente JD Vance, il Segretario di stato Marco Rubio e l’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff. Poche ore prima, il presidente aveva dichiarato di aspettarsi l’accordo entro la settimana. Lunedì è atteso alla Casa Bianca il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Già all’inizio di giugno il governo di Tel Aviv aveva fatto sapere di aver accettato la cosiddetta proposta Witkoff per due mesi di cessate il fuoco in cambio del rilascio dei 50 ostaggi (dei quali una ventina in vita). Ma gli entusiasmi si erano infranti sul “no” di Hamas, che aveva respinto le modifiche israeliane alla precedente bozza approvata dal gruppo, le quali escludevano il ritiro delle truppe e i negoziati per la cessazione del conflitto. Il 9 giugno Trump aveva dichiarato: «Gaza è al centro di intensi negoziati tra noi e Hamas e Israele, e l’Iran di fatto è coinvolto. Vedremo cosa succederà». Poche ore prima aveva avuto una lunga telefonata con Netanyahu. Il resto è noto: il via libera americano agli attacchi israeliani sugli impianti nucleari dell’Iran e i bombardamenti dell’aviazione Usa sui siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan. Dopo la guerra “dei dodici giorni”, la tregua a Gaza appare più vicina. Per almeno cinque motivi.
Ecco i cinque motivi per cui la tregua appare più vicina
Primo: i guai giudiziari di Netanyahu potrebbero risolversi. Il 26 giugno, due giorni dopo la tregua con l’Iran, Trump ha scritto su Truth che «il processo a Bibi Netanyahu dovrebbe essere annullato immediatamente, o dovrebbe essere concessa la grazia a un grande eroe che ha fatto così tanto per il suo Stato». Riferendosi al procedimento giudiziario per corruzione a carico del premier israeliano, Trump ha aggiunto: «Sono stati gli Usa a salvare Israele, e ora saranno gli Usa a salvare Bibi Netanyahu. Non possiamo permettere questo paradosso della giustizia». In quasi 21 mesi di guerra a Gaza, più volte Netanyahu ha invocato l’emergenza nazionale per ottenere il rinvio delle sue udienze e chiamare alla coesione un Paese che, alla vigilia del 7 ottobre 2023, contestava il premier indagato con manifestazioni di piazza che ne chiedevano le dimissioni. Nei giorni scorsi l’ex presidente della Corte Suprema israeliana, Aharon Barak, si è detto «favorevole a un accordo con Netanyahu, non importa se grazia o patteggiamento» perché questo «può portare la calma».
Secondo: si avviano alla normalizzazione i rapporti fra Israele e Siria. Rovesciato lo scorso dicembre il regime di Assad, sostenuto da Iran e Russia, la nuova leadership siriana dell’ex jihadista al-Sharaa, supportata dalla Turchia, è interessata al riconoscimento da parte dell’Occidente. Gli Stati Uniti hanno appena rimosso le sanzioni. Di fatto, in cambio chiedono che Damasco riconosca Israele e non ne minacci la sicurezza. Da parte sua, il governo israeliano è «interessato ad ampliare il cerchio di pace e normalizzazione dell’Accordo di Abramo», ha detto il ministro degli Esteri Gideon Saar, riferendosi agli accordi sponsorizzati dagli Usa di Trump e firmati nel 2020 da Israele con Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco. In un eventuale accordo di pace con la Siria, ha precisato, «le alture del Golan rimarranno parte dello Stato di Israele». L’annessione, avvenuta più di 40 anni fa, non è riconosciuta internazionalmente.
Terzo: la società e l’esercito israeliano sono logorati da 21 mesi di guerra. Chiudere il fronte di Gaza e riportare a casa gli ostaggi darebbe respiro alle tensioni interne e consoliderebbe quel consenso che il governo Netanyahu sembra aver ritrovato dopo l’operazione militare contro Teheran. La questione iraniana resta aperta, e non c’è stato il cambio di regime sollecitato da Netanyahu. Proprio su questo potrebbe concentrarsi Israele, nel prossimo futuro. All'interno di Israele, l'ostacolo maggiore all'accordo su Gaza è costituito dai ministri di ultradestra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che però stanno incassando risultati sulla Cisgiordania. Per Ben-Gvir, che si era già dimesso in occasione della tregua del 19 gennaio, «la vittoria a Gaza è troppo importante».
Quarto: si attuerebbe una sorta di scambio fra Stati Uniti e Russia, che avrebbe mano libera in Ucraina in cambio della non ingerenza in Medio Oriente. Secondo indiscrezioni di Politico, il Pentagono avrebbe sospeso le consegne a Kiev di missili per la difesa e altre munizioni di precisione, nell’ottica dell’interesse americano a conservare le scorte. Indiscrezione confermata dal fatto che l'Ucraina ha convocato l'incaricato d'affari americano. Da parte sua, Putin non sembra disposto a retrocedere dalle sue pretese su quattro regioni dell'Ucraina orientale non del tutto occupate militarmente: Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson. Oltre alla Crimea, annessa unilateralmente nel 2014.
Quinto: la vaghezza degli Accordi di Abramo. Non va dimenticato che lo stretto legame presupposto fra la questione palestinese e la normalizzazione dei rapporti con Israele non implica direttamente, negli Accordi di Abramo, la creazione di uno Stato palestinese bensì la disponibilità ad avviare il processo di riconoscimento. Da parte del governo israeliano, la chiusura in merito è totale. «L'espansione degli Accordi di Abramo è grandiosa, ma se non è altro che una copertura luccicante della minaccia esistenziale rappresentata dalla divisione del territorio, dalla cessione di territorio al nemico e dalla creazione di uno Stato palestinese terrorista, allora no», ha detto il ministro Smotrich, commentando le parole di Netanyahu secondo cui la «vittoria» sull'Iran potrebbe portare a un aumento degli accordi di pace. Non è detto che Trump non riesca a negoziare anche su questo, facendo digerire a Paesi economicamente e politicamente deboli come Libano e Siria un'apertura teorica priva di vincoli temporali.
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