La “regina del pop” Aya Nakamura è bersagliata dai razzisti
Potrebbe cantare alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi e Macron l'ha invitata all'Eliseo: maliana di origine e simbolo dell'integrazione è finita al centro di una campagna d'odio dell'ultrade

In pochi anni, è divenuta la cantante francofona più ascoltata nel mondo, ma in Francia resta il bersaglio di attacchi razzisti. Nata nella capitale maliana Bamako e cresciuta nella banlieue nord parigina, la 28enne Aya Nakamura, al secolo Aya Danioko, è ormai una "regina pop" paragonata sempre più all’americana Beyoncé e alla star caraibica Rihanna.
Di recente, il presidente Emmanuel Macron l’ha invitata all’Eliseo e da allora corre voce che la 28enne sia stata scelta come artista simbolo dei Giochi Olimpici, dove potrebbe cantare un classico di Édith Piaf. Una sorta di consacrazione ufficiale in vista, dunque, non smentita per il momento da nessuno. Questo successo esplosivo ha attirato sull’artista di colore pure ricorrenti frecciate razziste, come quelle da parte di gruppuscoli ultranazionalisti che hanno pubblicato messaggi odiosi. Tanto che contro una di queste formazioni, Les Natifs, è stata appena aperta un’inchiesta dopo una denuncia partita dall’associazione antirazzista Licra. Aya Nakamura infiamma i propri fan e fa al contempo discutere anche per il suo stile dirompente in aperta rottura con tanti codici della musica transalpina. I suoi testi, ad esempio, sono zeppi di parole ed espressioni gergali di banlieue, incomprensibili per tanti francesi.
C’è chi la accusa pure di volgarità, per l’ostentazione delle sue forme nei videoclip di canzoni che talora offrono una visione cruda delle relazioni amorose e sentimentali. Ma l’artista ha replicato sostenendo, fra l’altro, di voler trasmettere pure messaggi femministi sull’indipendenza delle donne.
Nonostante il successo planetario su ogni supporto e il fatto che sia ben in alto nelle vendite di musica in ben 46 Paesi, Aya Nakamura è stata finora pure alquanto snobbata dalla critica francese e dai giurì dei principali concorsi musicali. Un altro elemento che alimenta la polemica anche sul presunto eccessivo conservatorismo dell’establishment culturale e musicale transalpino.
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