giovedì 13 marzo 2025
Viaggio nelle mille facce della resistenza, che passa dalle aule universitarie alle piazze. E intanto nella vicina Bosnia è stato ordinato l'arresto del leader dell'entità serba
Studenti di Belgrado in piazza in queste settimane

Studenti di Belgrado in piazza in queste settimane - Reuters

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Fino a quattro mesi fa, Adrian e Dzejlana passavano le loro giornate sui libri, a lezione, per preparare gli esami universitari. Hanno 19 e 22 anni e studiano Scienze Politiche lui, Lingua e letteratura inglese lei. Ma oggi le loro università a Belgrado sono ferme, occupate proprio dagli studenti. «È un momento storico per il nostro Paese – raccontano i due, al telefono –. Noi in realtà continuiamo ad andare in università, ma per partecipare a dibattiti e approfondimenti su quello che sta accadendo. Organizziamo le proteste e ci coordiniamo con gli altri studenti». È da novembre che la Serbia è attraversata da un’ondata di enormi manifestazioni che non ha precedenti nel Paese negli ultimi trent’anni. In questi ultimi giorni la tensione è molto alta, anche per quello che accade appena fuori dai confini: ieri, la Procura della Bosnia Erzegovina ha emanato un ordine di arresto per Milorad Dodik, il presidente della Repubblica Srpska, l’entità della Bosnia a maggioranza serba. Un evento che complica la situazione.
Dentro i confini si teme invece per sabato prossimo, data in cui sono previste le manifestazioni più partecipate sino ad ora. Il governo parla di previste «violenze» ed «eccessi». Gli studenti rispondono così: «Tutti abbiamo sentito che ci saranno tentativi di creare scontri con la polizia, ma noi cittadini veniamo in pace. Per noi è chiaro al 100% che non dobbiamo usare violenza, ma sappiamo che probabilmente ci saranno altre persone, lì, per creare il caos» spiega Dzejlana, che raggiungiamo grazie a uno dei tanti gruppi Instagram che pubblica quotidianamente aggiornamenti sulle proteste. Per lei, aderire al movimento degli studenti non è stata un’azione spontanea. «Ci ho dovuto pensare molto. Alla fine, mi sono resa conto che i giovani possono essere generativi per il cambiamento della società. La solidarietà e l’unità che sperimentiamo adesso sono uniche». A loro si sono uniti professori, avvocati, agricoltori, cittadini delle professioni più diverse. L’evento scatenante delle proteste è stato, il primo novembre, il crollo di una pensilina della stazione di Novi Sad (nord della Serbia) che era stata ristrutturata da poco. Rimasero uccise 15 persone. L’incidente è stato visto come «l’ennesimo risultato della corruzione dilagante, della mancanza di responsabilità di chi è al potere, del declino degli standard di vita». Come una goccia che ha fatto traboccare il vaso. Si protesta contro il presidente Aleksandar Vucic, in carica dal 2017 ma in politica da ben prima (primo ministro dal 2014 e ministro dell’Informazione con Milosevic, accusato di crimini contro l’umanità per la guerra in Bosnia Erzegovina). Naturalmente difende a spada tratta Dodik. Ieri Vucic ha anche incontrato Trump junior, il figlio del tycoon, per «rafforzare la collaborazione strategica tra i due Paesi», ha scritto lo stesso presidente serbo.

Protesta e giornata di scioperto a Belgrado, marzo 2025

Protesta e giornata di scioperto a Belgrado, marzo 2025 - Reuters

​Ma torniamo agli studenti. Hanno richieste precise, racconta ancora Adrian: «Chiediamo la pubblicazione di tutti i documenti riguardanti la ristrutturazione della stazione di Novi Sad. E che la polizia presenti accuse formali contro le persone che nei primi giorni di protesta hanno aggredito alcuni studenti. Noi sappiamo che alcuni hanno cariche pubbliche». Il tema della violenza è entrato nel dibattito anche a inizio marzo, quando le opposizioni al governo hanno protestato in Parlamento con bombe carta e fumogeni. Un’azione che gli studenti non condividono, specifica Adrian: «Sin da subito abbiamo preso le distanze dall’opposizione perché le nostre proteste sono apartitiche. Condanniamo tutte le forme di violenza, ma non abbiamo il potere di impedire alle persone di fare ciò che decidono in autonomia».
Il primo risultato delle manifestazioni è stato la dimissione del primo ministro, Miloš Vucevic, a gennaio: la politica ha promesso nuove elezioni, ma non è questo che gli studenti chiedono, anche se sul tema le posizioni sono diverse. Adrian preferisce parlarne a titolo personale: «Penso che le elezioni siano un modo per creare una nebbia su ciò che sta accadendo e distogliere l’attenzione». Che cosa propongono allora gli studenti? «Tutto ciò che abbiamo ottenuto in questi mesi – conclude Adrian – è il risultato di meccanismi di auto-organizzazione basati sui principi della democrazia diretta. Su ogni territorio abbiamo creato assemblee plenarie, forum aperti a tutti. Si propone un ordine del giorno e si prendono decisioni alla luce della maggioranza. Tutti i giorni incontriamo i nostri concittadini e chiediamo anche a loro di organizzare assemblee, partecipare e iniziare a cambiare le cose a livello locale».
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