La rivolta della Generazione Z per il blocco dei social: il Nepal è nel caos
di Redazione
Morti e feriti dopo gli scontri con la polizia: il premier Oli si è dimesso. A fuoco il Parlamento e le case dei politici, chiuso l'aeroporto di Kathmandu. La condanna dell'Onu

Il Nepal è precipitato in una delle peggiori crisi politiche degli ultimi decenni. Il primo ministro KP Sharma Oli ha annunciato ieri le proprie dimissioni dopo giorni di proteste giovanili represse con la forza, che hanno causato almeno 22 morti e centinaia di feriti, secondo fonti ospedaliere della capitale. Le manifestazioni, iniziate la scorsa settimana, sono esplose in seguito al controverso divieto governativo sull’uso dei social media – da Facebook a YouTube, fino a WhatsApp, X e LinkedIn – giustificato con la lotta alle fake news. La decisione, che aveva oscurato 26 piattaforme, ha però scatenato la rabbia di milioni di utenti, già esasperati da corruzione endemica e mancanza di prospettive economiche.
Dopo giorni di violenza, questa mattina le principali piattaforme sono tornate online, come confermato dal ministro delle Comunicazioni Prithvi Subba Gurung ai media locali. La revoca del blocco è arrivata il giorno dopo i durissimi scontri a Kathmandu, quando la polizia ha aperto il fuoco su migliaia di manifestanti che tentavano di avvicinarsi al Parlamento: almeno 17 persone sono rimaste uccise nella capitale e oltre 400, compresi un centinaio di agenti, sono state ferite. Altre due vittime si sono registrate nel distretto orientale di Sunsari.
Una rivolta generazionale
I giovani tra i 13 e i 28 anni, appartenenti alla cosiddetta “Generazione Z”, hanno guidato cortei e sit-in nelle principali città del Paese. La risposta delle forze di sicurezza è stata durissima: proiettili veri, lacrimogeni e cannoni ad acqua. A Kathmandu i manifestanti hanno violato il coprifuoco, incendiato una postazione della polizia e preso di mira anche la residenza privata del premier Oli a Balakot, Bhaktapur, devastata e poi data alle fiamme. Secondo quanto riportato dall’AGI, altre abitazioni di esponenti politici sono state assaltate: quella dell’ex premier Sher Bahadur Deuba, leader del Congresso nepalese, vandalizzata sia a Budhanilkantha sia a Dhangadhi, e quella dell’ex premier maoista Pushpa Kamal Dahal a Khumaltar, bersagliata con bottiglie Molotov. Atti vandalici sono stati segnalati anche contro le residenze del ministro delle Comunicazioni Prithvi Subba Gurung, del ministro degli Interni Ramesh Lekhak e del ministro dell’Energia Deepak Khadka. Alcuni gruppi sono riusciti a entrare persino nel complesso governativo di Singha Durbar e nel Parlamento, simboli del potere politico del Paese himalayano. Intanto, la situazione ha avuto pesanti ripercussioni sui trasporti: l’aeroporto internazionale Tribhuvan di Kathmandu è stato chiuso, come riportato dalla BBC. Sul sito ufficiale dello scalo non risultano voli in programma, ma solo la comunicazione “airport closed”.

La crisi politica
Le dimissioni di Oli arrivano dopo quelle di diversi ministri chiave, dal titolare degli Interni Ramesh Lekhak – che ha lasciato il suo incarico già lunedì sera durante una riunione di emergenza – a quelli di agricoltura, acqua e sanità. “La situazione straordinaria del Paese richiede una scelta responsabile”, ha scritto Oli nella sua lettera di addio, diffusa sui social da un suo consigliere. Il presidente Ramchandra Paudel ha invitato i giovani a sedersi al tavolo del dialogo: “In una democrazia, le richieste dei cittadini vanno ascoltate e discusse, anche con il coinvolgimento della Generazione Z”. Secondo analisti locali, il vuoto politico potrebbe portare alla formazione di un governo ad interim, con un possibile ruolo consultivo per le organizzazioni giovanili.
Dietro la rabbia esplosa in strada non c’è solo il divieto ai social network. La disoccupazione giovanile in Nepal ha raggiunto il 20,8% nel 2024, mentre più di un terzo del PIL dipende dalle rimesse inviate dai lavoratori emigrati all’estero. Intanto, il movimento online contro i cosiddetti “Nepo Kids” – i figli dei politici che ostentano vite agiate – ha acceso ulteriormente le tensioni, evidenziando il divario tra l’élite e la popolazione comune. “Ogni giovane è costretto a lasciare il Paese. Siamo stanchi della corruzione, vogliamo un futuro qui”, ha dichiarato un manifestante a Reuters.

La condanna internazionale
L’Onu e Amnesty International hanno condannato l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia, chiedendo un’indagine trasparente sulle morti. Amnesty ha invocato “un’indagine completa, indipendente e imparziale” sulle circostanze dell’intervento. “Sparare sui manifestanti che non rappresentano una minaccia imminente è una grave violazione del diritto internazionale”, ha denunciato l’organizzazione. Intanto, i principali quotidiani nepalesi hanno invocato le dimissioni immediate di Oli. Gagan Thapa, segretario del Nepali Congress, ha chiesto che il suo partito abbandoni il governo: “Non possiamo restare complici davanti all’uccisione di giovani innocenti”.
Un futuro incerto
Il Nepal, repubblica dal 2008 dopo la fine della monarchia, ha già conosciuto oltre una dozzina di governi in appena 15 anni. Ma le proteste di questi giorni rappresentano un fenomeno inedito: una generazione intera, cresciuta connessa al mondo, che chiede un cambiamento radicale. Il Paese himalayano, sospeso tra crisi economica e instabilità politica, si trova ora davanti a un bivio: reprimere ancora o dare voce a chi sta già scrivendo il suo futuro.
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