venerdì 24 giugno 2011
L'esempio di chi in passato ha dato la vita per la fede fa crescere una generazione di cattolici che ora comincia persino a mandare religiosi all'estero. Anche se professarsi credente resta difficile.
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Manca mezz’ora alle 8, sta per iniziare la più frequentata delle Messe festive nella cattedrale di Yangon. Deposte le infradito all’esterno della chiesa, i fedeli si radunano con largo anticipo nell’ampia navata dell’edificio simil-gotico. Potrebbe sembrare una scena comune a quanto avviene altrove. Ma due particolari ci ricordano che siamo a quasi 10mila chilometri dall’Italia: la lunga fila di persone incolonnate per la confessione e lo sventolio dei ventagli multicolori che la parrocchia mette a disposizione per placare la morsa del caldo umido. Già, perché – ora che la stagione dei monsoni è cominciata – non bastano, a scacciarlo, i possenti ventilatori disseminati qua e là.A dispetto del clima, tuttavia, la celebrazione è molto partecipata. I fedeli assiepano le panche e prendono parte con fervore alla Messa, che alterna qualche preghiera in latino all’inglese; in alcuni canti riconosciamo persino l’eco di melodie tradizionali del cattolicesimo occidentale. Ma non è, quella del Myanmar, una Chiesa perseguitata? La domanda sorge spontanea alla mente, se solo uno ricorda la burrascosa storia e la situazione attuale del Paese. Non troverò una risposta definitiva all’interrogativo. Nemmeno una volta terminato il viaggio che ci porterà in diverse zone del Paese, da Taunggyi a Kengtung, sulle orme di padre Clemente Vismara, il missionario che domenica sarà dichiarato beato e che proprio qui ha passato ben 65 lunghi anni, meritandosi il titolo di "patriarca della Birmania".Un fatto è certo: come ai tempi di Vismara, anche oggi essere cristiani a queste latitudini è tutt’altro che una scelta semplice. Nel suo ultimo rapporto annuale, in aprile, la Commissione Usa per la libertà religiosa ha inserito il Myanmar tra i Paesi «di particolare preoccupazione». Eppure, a sentire alcuni degli interlocutori incontrati nel corso del viaggio (preti, vescovi, suore e numerosi catechisti) qualche motivo di speranza c’è. Una speranza che, per ora, affonda le sue radici, più che su imminenti cambiamenti politici, sulla vivacità della comunità cattolica locale. Un "piccolo gregge" – quasi 700mila fedeli su circa 50 milioni di abitanti – ma con uno spirito missionario forte e un invidiabile dinamismo. Un dato va segnalato: in Myanmar i cristiani rappresentano circa il 6% dell’intera popolazione e i cattolici l’1,5. Percentuali lillipuziane per i nostri parametri occidentali. Eppure, paragonata con quella della vicina Thailandia, la percentuale dei cattolici del Myanmar è tripla. E ciò a dispetto del livello, abissalmente diverso tra i due Paesi, quanto a libertà religiosa, mezzi economici e disponibilità di strutture. «Ciò non fa che confermare una verità che si ripete nella storia della Chiesa: ossia che la persecuzione fortifica la fede», osserva padre Claudio Corti, missionario del Pime di 44 anni, attivo in una diocesi del Nord del Thailandia al confine col Myanmar. Il suo confratello Angelo Campagnoli, che in Birmania ha lavorato alcuni anni – nella stessa zona di Vismara – prima di essere espulso nel 1966, completa la spiegazione osservando che «ciò che rende speciale la Chiesa del Myanmar è l’essere costituita quasi interamente da minoranze etniche: tradizionalmente il cristianesimo si è diffuso soprattutto tra i tribali, in particolare karen. La componente etnica prevalente – quella birmana ("bamar") – resta, nonostante quattro secoli di presenza cristiana, sostanzialmente buddista». Eppure, dai tempi di Vismara a oggi, una piccola-grande rivoluzione è in atto. Questa Chiesa provata, che dopo l’avvento dei militari si è vista strappare la gestione delle opere cattoliche, questa Chiesa costretta a "cavarsela da sola", che un tempo era "terra di missione" oggi, a sua volta, manda suoi missionari fuori dai suoi confini. Negli ultimi anni, ben sette giovani del Myanmar sono entrati nelle file del Pime, cui apparteneva padre Vismara. In sei delle 16 diocesi della Birmania il Pime ha visto alternarsi lungo 140 anni di storia ben 170 missionari, non pochi dei quali morti giovani. «Oggi lo spirito che i missionari ci hanno testimoniato ispira la nostra Chiesa e ci porta verso i confini del mondo», chiosa monsignor Charles Bo, arcivescovo di Yangon. Tra pochi mesi anche l’istituto missionario ad gentes locale, "Little Way of Santa Theresa", manderà i suoi primi membri nella vicina Cambogia. Padre Vismara, dal cielo, non potrà che sorridere. Lui che, a proposito dei suoi giovani, scrisse: «Da questi teneri, cari, amati e spennacchiati virgulti, sorgerà (non ne dubito) la nostra Chiesa».
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