venerdì 18 aprile 2025
A colloquio con Zin Mar Aung, la ministra degli Esteri del governo deposto dal golpe del 2021 che dall'esilio lavora al futuro del suo Paese.
Zin Mar Aung

Zin Mar Aung - Cnn web

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Zin Mar Aung, ministra degli Esteri del governo di unità nazionale del Myanmar deposto dal colpo di stato del 2021, è esponente di spicco della National League for Democracy, il partito di cui è stata leader Aung San Suu Kyi, la premio Nobel per la pace reclusa in isolamento nel carcere di Naypyidaw. La donna è impegnata in tour delle cancellerie del mondo - è passata anche da Roma - a raccontare il dramma del terremoto di venti giorni fa dall’ombra di un’opposizione esercitata a distanza (la città in cui vive all’estero non può essere rivelata per motivi di sicurezza) insieme agli altri ministri in esilio.

Qual è la situazione, oggi, in Myanmar?

È molto grave. Il terremoto ha acuito una crisi umanitaria in corso già da tempo per effetto della guerra civile seguita al golpe militare. Le sfide che impegnano il nostro popolo sono raddoppiate in novanta secondi.

Qual è la più difficile?

Nelle zone colpite dal sisma mancano rifugi per chi ha perso la casa, cibo e acqua potabile. Problemi che affliggevano gli sfollati interni anche prima del terremoto. Pesa, inoltre, la totale assenza di comunicazione già fortemente limitata dalla giunta che, dopo il colpo di stato, aveva bloccato i social media e limitato l’uso di internet anche nelle aree controllate dalle forze rivoluzionarie. Ciò significa che è difficile reperire le informazioni necessarie a coordinare gli aiuti.

Le Ong riescono ad addentrarsi nel Paese?

Dipende da dove operano. Nelle aree controllate dalla giunta militare, le organizzazioni umanitarie entrano solo se hanno il permesso e, comunque, operano sempre sotto la sorveglianza di intelligence e agenti in incognito. L’accesso alle zone in mano all’opposizione è invece bloccato. È questo il motivo per cui chiediamo con forza alla comunità internazionale, incluse le Nazioni Unite, di fare in modo che l’assistenza venga riorganizzata all’insegna dei principi umanitari di indipendenza, neutralità e imparzialità.

Riorganizzata come?

Chiediamo che gli aiuti umanitari e la loro distribuzione vengano discussi anche con noi, non solo con la giunta nella capitale. Chiediamo che vengano prese in considerazione vie alternative di fornitura, per esempio, quelle transfrontaliere.

Sapevate però che il cessate il fuoco proclamato dal regime non sarebbe stato rispettato...

Noi, subito dopo il terremoto, abbiamo dichiarato che avremmo interrotto ogni offensiva. Elo abbiamo fatto. Ci siamo fermati laddove ci trovavamo. Invece, loro hanno continuato ad attaccare ogni giorno. Questa è la vera natura della giunta militare. A loro interessa solo mantenere il potere, anche a scapito della comunità. Il nostro popolo soffre e loro ne approfittano. In fondo, questo è un segno di debolezza. Sono consapevoli che sul campo di battaglia il loro esercito registra tante defezioni. Molti ufficiali si sono arresi, non vogliono più combattere. La loro unica forza è la violenza.

Voi come vi state muovendo politicamente?

Nelle aree sotto il nostro controllo abbiamo ripristinato servizi pubblici, come sanità, istruzione e aiuti umanitari di base, e insediato consigli amministrativi popolari a sostituire quelli militari. Abbiamo raggiunto accordi politici tra diversi attori – gruppi etnici, società civile e forze rivoluzionarie – e avviato trattative di pace tra le diverse minoranze. Ci stiamo preparando al futuro, a un eventuale vuoto di potere nella capitale.

È fiduciosa sull’esito di questo processo?

Abbiamo la volontà politica di unire le forze per un nuovo Myanmar. Siamo molto aperti, anche se riconosciamo che ci sono difficoltà e differenze. Non vediamo, invece, nella giunta militare alcuna apertura a trasformarsi, a riformarsi, ad accettare la supremazia civile.

Ma pensa sia possibile evitare l’uso “tattico” degli aiuti umanitari?

Non è la prima volta che la giunta li manipola. Lo hanno fatto, per esempio, durante la pandemia di Covid o all’indomani del ciclone Mocha. Il referendum costituzionale del 2008 gli ha assicurato potere di veto anche sull’assistenza dall’estero. Per questo noi dialoghiamo con la comunità internazionale e i Paesi donatori affinché tutti siano consapevoli di come, storicamente, il governo abbia usato gli aiuti per mantenere il controllo.

È questo il motivo della sua visita in Italia?

Questa è una delle ragioni.

Quali sono le altre?

Noi chiediamo alla comunità internazionale di riconoscerci e di comunicare con trasparenza con noi. Alcuni governi e agenzie internazionali, in particolare l’Onu e l’Asean, l’associazione delle nazioni del sud-est asiatico, si incontrano apertamente con la giunta militare, ma con noi si vedono in segreto, senza documenti ufficiali o comunicazioni pubbliche. Per questo chiediamo una comunicazione alla pari, che è fondamentale per delegittimare la giunta.

Ultima domanda, avete notizie su Aung San Suu Kyi?

Non ufficiali ma, sì, le abbiamo. Ci risulta che sia viva e che stia bene.

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