venerdì 26 febbraio 2021
Primo atto della nuova commissione elettorale a quasi un mese dal colpo di stato: riformato il risultato del voto di novembre. Ancora proteste: saliti a 6 i morti e 800 arresti
Agenti anti-sommossa schierati a Yangon

Agenti anti-sommossa schierati a Yangon - Ansa

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Saliti a sei i morti e a quasi 800 gli arresti per la repressione delle manifestazioni contrarie al regime che si è installato in Myanamar con il colpo di stato del primo febbraio, a tre settimane dall'avvio della protesta organizzata il Paese sembra compatto nel rifiutare il fatto compiuto, nonostante le azioni di gruppi filo-militari che anche oggi si sono confrontati con i manifestanti.
Nel tentativo di procedere con la sua "normalizzazione" che esclude la leadership democratica agli arresti nella quasi totalità, a cominciare dalla Premio Nobel per la Pace e consigliere nazionale Aung San Suu Kyi, oggi la Commissione elettorale nominata dai militari in sostituzione di quella che aveva guidato le elezioni che per la seconda volta avevano garantito la vittoria senza compromessi alla Lega nazionale per la democrazia, ha cancellato il risultato dl voto di novembre.

Arresti di manifestanti da parte della polizia

Arresti di manifestanti da parte della polizia - Reuters

Tuttavia, a chiarire che la giunta difficilmente potrà conservare il potere se non con la forza, resta la sostanziale paralisi di ospedali, trasporti, uffici governativi e servizi per lo sciopero dei dipendenti pubblici a cui anche oggi si associano ovunque manifestazioni che si confrontano con la polizia e con reparti militari in aree strategiche. Scontri sono registrati oggi a Yangon, capitale economica e roccaforte del movimento nonviolento che ha guidato il Paese fuori dalla dittatura dieci anni fa. Qui è stato arrestato un giornalista giapponese.

Le proteste non si fermano nelle strade di Yangon

Le proteste non si fermano nelle strade di Yangon - Absa

"I giovani desiderano un futuro di libertà, giustizia e democrazia e non accettano chi ha preso il potere con la forza. Come Pastori abbiamo chiesto, in una domanda condivisa con i capi buddisti e con gli altri leader religiosi birmani, che si apra un tavolo di discussione: riprendere la via del dialogo è urgente per il bene e per la prosperità del paese. Il Myanmar ha bisogno di abbandonare ogni violenza, e percorre le vie della giustizia e della pace", ha dichiarato all'agenzia Fides monsihnor Alexander Pyone Cho, vescovo della diocesi di Pyay, suffraganea di Yangon.

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