giovedì 4 giugno 2015
L'arcivescovo caldeo di Erbil: "Qui tutti vorrebbero la visita del Papa, ma sappiamo quali sono le difficoltà". L'aiuto concreto della Cei. (Luca Liverani)
Onu: 10 milioni di persone a rischio (Video)
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«Tutti aspettano la visita del Papa, che attirerebbe una grande attenzione sulle comunità perseguitate dall’Is, non solo cristiane. Ma sappiamo che viene rimandata perché serve una grande preparazione e molti protocolli da risolvere». Monsignor Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, nel kurdistan iracheno, rinnova alla Chiesa e all'Occidente l’appello a non dimenticare le comunità e i luoghi che costituiscono le radici del cristianesimo. Chiede all’Europa di fermare i suoi cittadini che partono per combattere per il califfato. E invoca la solidarietà della chiesa, per le 13 mila famiglie che nella sua diocesi assiste da giugno 2014.  Un aiuto che la Cei ha offerto grazie ai i fondi dell’8 per mille fin da subito, con 3,6 milioni di euro l’anno scorso - un milione in aiuti e 2,6 per l'università di Erbil che sarà inaugurata a settembre - e altri 2,7 quest’anno: un milione attraverso la Caritas per gli alimenti ai profughi per tutto agosto, 1,5 per la costruzione di pozzi, 220 mila per progetti affidati alla Focsiv. La continuità nell’impegno è stata ribadita a nome della Cei dal segretario generale, monsignor Nunzio Galantino: «C'è una frase che, da quando qualche mese fa in Iraq le famiglie dei profughi me l'hanno detta, non ho potuto più dimenticare: "Siamo perseguitati, fate in modo che non siamo abbandonati". È l'impegno che come Chiesa italiana abbiamo prontamente fatto nostro, traducendolo sia in iniziative di preghiera che di solidarietà». Al sostegno della Chiesa italiana va sommato anche quello dell’Aiuto alla chiesa che soffre (Acs), la fondazione di diritto pontificio che ha permesso all’arcivescovo di tornare a Roma per rilanciare la sua accorata testimonianza attraverso i media. L’Acs dall’inizio dell’avanzata dell’Isis ha sostenuto le comunità cristiane con 7 milioni di euro. Per arrestare l'avanzata brutale del Califfato, secondo l'arcivescovo Warda è inevitabile l'uso della forza: «Lo Stato islamico è un cancro e come tale va estirpato. Non c’è più molto tempo, controllano aree sempre più grandi. Sono completamente d’accordo col Papa che la soluzione militare non è l’unica soluzione, ma purtroppo ne è parte. Mi dispiace doverlo dire come vescovo, ma con questa gente non c’è possibilità di dialogo. L’azione militare va realizzata attraverso il sostegno a chi già combatte, non con l’invio di forze straniere che potrebbero far gridare alla "crociata"». Le altre due fasi della soluzione, secondo Warda, sono i negoziati politici e la ricostruzione della fiducia tra le comuntà irachene. Tre cose «che devono procedere insieme». L’arcivescovo caldeo parla anche del problema dei "foreign fighters": «L’Europa è responsabile dei suo cittadini che vanno a combattere per il Califfato, da quando partono a quando tornano: non può dire che è un affare del Medio oriente».
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