martedì 1 gennaio 2013
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Caro Direttore, anche io, assieme ai molti lettori di 'Avvenire' e cittadini italiani, mi voglio unire all’appello rivolto al presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, perché Asia Bibi sia liberata e possa ritornare al più presto dalla sua famiglia, dalla quale manca da oltre tre anni. Lo chiedo prima ancora che come Presidente del Consiglio, come uomo e come cristiano. La sua storia è un esempio eclatante di come oggi essere seguaci della parola di Cristo possa poter diventare una colpa, laddove l’estremismo non esita a fermarsi neanche davanti ad una donna sola e indifesa. La storia di Asia Bibi mi ha davvero impressionato. Contadina, 47 anni, sposata e madre di cinque figli, tra cui Esha, 12 anni, disabile. Cristiana. Altre donne l’hanno accusata di blasfemia, di aver parlato male di Maometto e tanto è bastato per farla condannare a morte. Un tribunale del distretto di Nankana, nella regione pachistana del Punjab, ha emesso la dura sentenza, da eseguirsi tramite impiccagione. Ad oggi a nulla è valso anche l’appello rivolto pubblicamente da Papa Benedetto XVI per una sua immediata liberazione che ha ricordato alla comunità internazionale la difficile situazione in cui si trovano i cristiani in Pakistan, spesso vittime di violenze e discriminazioni. «Prego – ha detto il Sommo Pontefice – per quanti si trovano in situazioni analoghe, affinché la loro dignità umana e i loro diritti fondamentali siano pienamente rispettati». Mi auguro che questo possa avvenire il prima possibile. Il mondo dell’associazionismo cattolico si è già mosso con una campagna di sensibilizzazione. Anche il nostro corpo diplomatico segue con apprensione questa storia insieme alle molte altre di cristiani perseguitati nel mondo, vittime di sanguinose persecuzioni, dal Medio Oriente all’India, dai Paesi africani al Pakistan. Già il Pakistan. Letteralmente significa la 'terra dei puri' e ricordo come nell’agosto del 1947, nel suo discorso davanti alla prima Assemblea costituente, Ali Jinnah, il principale tra i padri fondatori, affermò la libertà di culto come il bene primario per tutti i cittadini. «Voi siete liberi; siete liberi di frequentare i vostri templi, siete liberi di andare nelle vostre moschee o in qualsiasi altro luogo di culto dello Stato del Pakistan. Voi potete appartenere a qualsiasi religione, casta o credo, questo non ha nulla a che vedere con gli affari dello Stato… Vogliamo partire da questo principio fondamentale: che siamo tutti cittadini e cittadini con pari diritti». Qualcosa evidentemente è andato storto. Ma l’islam non è quello dei fondamentalismi e delle torture, delle vendette e dell’egemonia culturale come sopraffazione. L’islam è innanzitutto tolleranza, pace, rispetto. Anche per questo oggi il Pakistan è di fronte ad una grande prova. Quella di ritornare ad essere la terra dei puri, di ridare la libertà ad Asia Bibi. Come un qualsiasi cristiano farebbe con un suo fratello musulmano. Come un musulmano farebbe con un qualsiasi cristiano.
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