venerdì 4 maggio 2018
Vittime due volte: per la società irachena chiunque abbia avuto rapporti con i jihadisti è colpevole e come tale sottoposto ad abusi nei campi profughi
(Ansa)

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L’incubo del Daesh (acronimo arabo del sedicente Stato islamico di Iraq e Grande Siria, Is) non sarà facile da dimenticare, non solo per le popolazioni costrette ad abbandonare le proprie terre per avere salva la vita oppure brutalizzate e ridotte in schiavitù. Un’ombra maligna continua a segnare anche il presente di migliaia di donne e bambini, familiari degli jihadisti. In Iraq, dove le autorità stanno tirando le prime somme dopo la vittoria, le famiglie dei combattenti del califfo Abu Bakr al-Baghdadi rappresentano un nodo non semplice da sciogliere, una sfida etica, politica e securitaria. E pure un rebus per il diritto internazionale.

Si legge nel rapporto di Amnesty international intitolato “I condannati”: «A migliaia, donne e bambini iracheni con supposti legami con l’Is sono condannati per crimini che non hanno commesso. Sono marchiati come “famiglie dell’Is”. Cibo, acqua e assistenza sanitaria sono loro negati», così come l’ottenimento di carte d’identità e certificati di ogni genere diventa per loro più farraginoso e lento. Ne consegue che movimenti, ricerca di un impiego per i maggiorenni o inserimento a scuola per i piccoli risultano impossibili in assenza di documenti ufficiali. Imprigionati nei campi, isolati rispetto agli altri profughi che li detestano, gli sfollati “condannati” ancor prima di essere processati sono spesso vittime di violenze e abusi da parte dei soldati stessi.

Ma che cosa rende un nucleo famigliare colpevole? Esistono infinite sfumature di collusione per i sopravvissuti all’occupazione del Daesh di Mosul, Ramadi, Tal Afar e altri centri urbani iracheni: in sintesi, chi ha un congiunto che si è arruolato – o è stato arruolato a forza – fra i jihadisti è segnato per sempre. Per “arruolati” si intendono anche impiegati amministrativi, cuochi, operai. Chiunque abbia lavorato a stretto contatto con combattenti e gerarchia del Califfato dal 2014 in poi, benché non abbia imbracciato le armi, è compromesso. «Anche il fatto di aver vissuto in quartieri controllati da Is è sufficiente», si legge nel rapporto di Amnesty. Fra le donne irachene obbligate a sposare miliziani del Daesh e ora libere dai loro mariti-tiranni, incarcerati, si moltiplicano le richieste di divorzio o annullamento del matrimonio, riferiscono i media arabi. Ma le autorità irachene non sanno come comportarsi, nel timore che ne approfittino anche quelle che non hanno affatto rinnegato il jihad.

Per quanto riguarda, invece, le mogli straniere di combattenti del Daesh e i loro bambini, il discorso è ancora più complesso. Un gruppo consistente di essi, formato da circa 1.400 civili, è sfollato in un campo profughi a Sud di Mosul, come riferito da Baghdad sul finire del 2017. Fra le donne straniere, la componente maggioritaria è turca; seguono quelle provenienti dalle ex repubbliche sovietiche (Tajikistan, Azerbaijan, Federazione Russa). Infine, in numero minore ci sono asiatiche ed europee. Queste ultime sono soprattutto francesi e tedesche.

Nelle ultime settimane, la giustizia irachena, d’intesa con Mosca, ha disposto l’estradizione di cittadine russe mogli di combattenti del Daesh insieme ai loro figli. Parigi, invece, preferisce che le francesi partite volontarie per gli scenari mediorientali siano processate in Siria ed Iraq: è il caso di jihadiste arrestate dalle forze curde in Siria settentrionale, di cui si è dibattuto in Francia all’inizio del 2018. E mentre a Berlino ci si interroga su come gestire i cittadini con passaporto tedesco di rientro da Siria e Iraq, appunto in massima parte donne e bambini di cui si sospetta la radicalizzazione, il quotidiano britannico The Daily Mail lancia un pesante allarme: mille «spose del Daesh» potrebbero rientrare nel Vecchio Continente nei prossimi mesi, in virtù di passaporti europei.

Allo stremo per un inanellarsi decennale di conflitti e aggressioni, l’Iraq stenta a darsi una visione giuridica unitaria in merito. Gli adulti dovrebbero essere processati da tribunali iracheni, anche se stranieri: questa è la filosofia che sta emergendo nel Paese mediorientale con il passare dei mesi. Quanto ai minori, il percorso della deradicalizzazione dovrebbe toccare ai differenti Paesi di origine. Tutti ugualmente inesperti di fronte a una sfida di proporzioni epocali.

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