
Guo Jiakun, portavoce del ministero degli Esteri cinese - ANSA
La condanna è stata decisa. E i toni (insolitamente) forti. La Cina non ha esitato a stigmatizzare l’azione di forza degli Usa ai danni dell’Iran: “L’intervento degli Stati Uniti – ha detto Fu Cong, rappresentante permanente della Cina presso le Nazioni Unite - viola gravemente gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, nonché la sovranità, la sicurezza e l'integrità territoriale dell'Iran. Ha esacerbato le tensioni in Medio Oriente e inferto un duro colpo al regime internazionale di non proliferazione nucleare”. Non solo. Nei giorni scorsi, il ministro degli Esteri cinesi Wang Yi aveva parlato al telefono con i suoi omologhi israeliano e iraniano, invitando (senza successo) le parti alla de-escalation.
Toni, a tratti veementi, che svelano tutta l’irritazione di Pechino. Perché la crisi che si sta consumando in Medio Oriente a colpi di raid – e nonostante il desiderio del gigante asiatico di accreditarsi agli occhi della comunità internazionale come un possibile mediatore – denuda una serie di vulnerabilità della Cina. Primo di tutto di natura economica. Pechino è un attore interessato della crisi: il 45% del petrolio cinese passa attraverso lo Stretto di Hormuz, quell’imbuto che proprio Teheran potrebbe “strozzare” e chiudere, come ritorsione e prova di forza. Pechino importa circa tre quarti del suo petrolio greggio dall'estero. Una fragilità a cui la dirigenza cinese è particolarmente sensibile: Xi Jinping considera la sicurezza energetica un elemento chiave del suo programma politico. Il gigante asiatico è poi uno dei maggiori investitori esteri diretti in Iran. I due Paesi hanno firmato un Piano di partenariato strategico nel 2021 che ha individuato 400 miliardi di dollari di potenziali investimenti cinesi nell'economia iraniana nei successivi 25 anni. Einar Tangen, ricercatore senior presso il Taihe Institute di Pechino e fondatore di Asia Narratives, ha descritto la prospettiva della (temuta) caduta del governo iraniano come uno "scenario da incubo" per Pechino. "Il caos regionale e l'interruzione dei flussi petroliferi – ha detto - avrebbero un impatto enorme sulle risorse energetiche vitali e sugli interessi strategici della Cina. Oltre a ciò, creerebbero un enorme vuoto di potere e minaccerebbero gli investimenti cinesi nella Belt and Road in tutta la regione".
C’è poi il fronte più decisamente politico. La crisi rigetta la Cina ai margini della scena, costringendola di fatto a un ruolo di spettatrice impotente. Dopo il successo nella normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran, considerato una "medaglia" della diplomazia cinese, siamo davanti a un ridimensionamento che restituisce il pallino nelle mani degli Usa. Escluso un coinvolgimento militare diretto della Cina a sostegno di Teheran, restano le armi della diplomazia. Che, mai come oggi, appaiono spuntate.