giovedì 19 marzo 2015
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La Tunisia come nuova frontiera del terrorismo. Il Paese che ha visto sbocciare la Primavera araba e che ha soprattutto saputo – malgrado diversi tristi episodi – evitare le sue derive, deve oggi fronteggiare una grande sfida: quella di vedersi trasformare in terra del jihad. La Tunisia della “rivoluzione gentile”, delle libertà democratiche, dell’attiva partecipazione delle donne ai diversi settori della vita nonché delle (relativamente) solide istituzioni politiche è anche paradossalmente il Paese che fornisce il maggior contingente di jihadisti in Libia, Iraq e Siria. Il ministero dell’Interno stima infatti tra 3.000 e 5.000 il numero di tunisini partiti per unirsi allo Stato islamico (Is) o ad altre fazioni islamiche. Il rischio di infiltrazione di jihadisti nel Paese è un tema assai ricorrente sulla stampa locale, che parla di circa 400 terroristi arrestati ai confini a partire da febbraio, cioè da quando si è insediato il nuovo governo di Habib Essid. Senza parlare dello smantellamento, da parte delle forze di sicurezza, di diverse cellule di reclutamento (ben quattro due giorni fa) e del sequestro di numerosi depositi illegali di armi. Proprio venerdì scorso, un libro-inchiesta sul salafismo jihadista tunisino è stato presentato al pubblico nella sede dell’Ordine dei giornalisti a Tunisi. «Sotto lo stendardo dell’avvoltoio», questo il titolo, ripercorre la storia del jihadismo locale e le dinamiche che lo animano dai tempi di al-Qaeda in Afghanistan ai giorni nostri, con le ripercussioni che possono avere sul Nordafrica in generale. La recente morte in Libia del super ricercato tunisino Ahmed Ruwaysi, leader del gruppo Ansar al-Sharia coinvolto negli omicidi dei deputati Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, ha forse accelerato la “vendetta”dei terroristi. In questo disegno si inseriscono i vari appelli rivolti dai capi jihadisti ai tunisini di non partire più alla volta della lontana Siria, ma di concentrarsi nella confinante Libia, in attesa del giorno in cui potranno invadere il proprio Paese natale. Un appello, questo, seguito da migliaia di giovani, a giudicare dal numero di tunisini che si addestrano nei campi libici di Sabrata, Zaouia, Sirte, Zliten e Derna sotto il comando di tale Seifallah Ben Hassine, alias Abu Iyadh, ma anche da quello di azioni suicida condotte da cittadini tunisini in territorio libico. Lo scorso novembre, cinque dei nove kamikaze che si sono fatti esplodere in Cirenaica contro le truppe del generale Khalifa Haftar venivano proprio dalla Tunisia. Altri tunisini preferiscono invece immolarsi nel cuore del califfato, come quei due kamikaze che nove giorni fa hanno preso di mira postazioni curde in Siria e dell’esercito iracheno nella provincia di al-Anbar. In entrambi i casi, alla base del reclutamento sta una potente macchina propagandistica che preoccupa le autorità tunisine. Di ieri la notizia di un cantante rap di 25 anni che avrebbe prestato fedeltà allo Stato islamico in Libia. Marouen Douiri, noto con il nome di Emino, ha confermato «la buona notizia» della sua migrazione in terra islamica «alla Tunisia occupata, retta da leggi contrarie ai dettami della sharia».
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