martedì 22 aprile 2025
Parla Maoz Onon, l'ebreo che, l'anno scorso, all'Arena di pace di Verona testimoniò dinanzi al Papa l'amicizia con l'arabo Aziz Abu Sarah. Entrambi hanno perso familiari nella guerra
Papa Francesco con Maoz Inon (al centro) e Aziz Abu Sarah (a destra)

Papa Francesco con Maoz Inon (al centro) e Aziz Abu Sarah (a destra) - Ansa

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«Non ci ha lasciato». Maoz Inon, ebreo e israeliano, ha gli occhi arrossati. La notizia l’ha colto appena sceso dal treno che da Binyamina l’ha portato a Tel Aviv per ultimare la preparazione del People peace summit dell’8 e 9 maggio. E l’ha lasciato incredulo e commosso. «Ho il cuore spezzato. Ma so che la sua presenza non se n’è andata. Fino all’ultimo, con ogni briciolo di forza, ha fatto la sua parte. Ora tocca a noi. Abbiamo più che mai la responsabilità di realizzare le sue parole e i suoi gesti di pace. Sono felice di averlo potuto vedere faccia a faccia…».

La memoria di Maoz corre al 18 maggio scorso quando, nell’Arena di Verona affollata da oltre 13mila persone, ha offerto la sua testimonianza di fronte al Pontefice insieme al palestinese Aziz Abu Sarah. Al Papa ha raccontato la terribile sofferenza provata il 7 ottobre 2023 quando i genitori Bilha e Yacovi, 76 e 78 anni, sono stati trucidati da Hamas nel kibbutz Nir Am, insieme a 1.200 persone. Un dolore che, fin da subito, ha rifiutato di trasformare in motore di altri lutti. Da qui la scelta, il 7 novembre successivo, di accamparsi di fronte alla Knesset di Gerusalemme con Yaakov Godo, padre di Tom, massacrato a Kissufim, per chiedere il cessate il fuoco a Gaza. Poco dopo ha ricevuto il messaggio di cordoglio di Aziz, a cui la guerra aveva strappato anni prima il fratello Tayseer, morto dopo l’arresto da parte delle autorità israeliane.

È stato l’inizio di un’amicizia fraterna e di un lavoro congiunto per mettere fine al conflitto che, da oltre sette decenni, dilania i due popoli. Insieme hanno fondato Interact international, tra i promotori del People peace summit dell’8 e 9 maggio che porterà al Binyaei Humah di Gerusalemme migliaia e migliaia di pacifisti di oltre sessanta organizzazioni chiamati a realizzare un coordinamento fra le varie realtà.

«Il dialogo con il Pontefice mi ha cambiato la vita. La pena per la perdita dei miei, mi ha reso particolarmente sensibile nel riconoscere quanti sono realmente interessati all’altro e quanti fingono. Francesco rappresentava il meglio dell’umanità. Era un autentico costruttore di pace: non solo per i messaggi che lanciava ma per come si curava di chi stava dinanzi. Tutto in lui parlava di pace: lo sguardo, le mani, l’energia che emanava. Mi sono sentito davvero accolto e questo ha lenito il mio dolore. So che per Aziz è stato lo stesso. Al termine dell’intervento, noi due ci siamo abbracciati. Il Papa ha chiesto alla folla di osservare un minuto di silenzio e poi ci ha stretti a sé. In modo semplice ci ha ricordato la cosa più essenziale: abbracciare l’altro, condividendo angoscia e speranza. Una lezione che Aziz ed io sentiamo il dovere di tramandare».

Maoz non impiega con leggerezza il termine «profeta», cruciale nella cultura ebraica. «Ma Francesco lo era. La sua vita e la sua mi ricordano quelle di Mosé: ha condotto il popolo nel deserto fino alle soglie della Terra promessa ma non è riuscito ad entrarci. Anche il Papa ha guidato gli esseri umani verso l’unica terra promessa, quella della pace per le donne e uomini di ogni luogo. Si è spento prima di accedervi ma ha aperto la strada. Che noi costruttori di pace siamo chiamati a percorrere, con slancio, coraggio e generosità. Sull’esempio di Francesco».

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