martedì 23 maggio 2023
Gli americani sarebbero pronti a inviare a Kiev una delle due batterie del sistema anti-missile che hanno in dotazione. Ma servirebbe davvero?
Due batterie di Iron Dome al confine sud di Israele

Due batterie di Iron Dome al confine sud di Israele - Ansa

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La guerra in Ucraina si sta spostando dai campi fangosi del Paese al suo spazio aereo. Il presidente Volodymyr Zelensky sta completando un lungo tour all’estero – che lo ho portato nelle principale capitali europee e in Arabia Saudita, per il vertice della Lega Araba, quindi in Giappone per il G7 – con l’obiettivo di creare una “coalizione dei jet” (la richiesta è particolarmente focalizzata sugli F-16) che possa metterlo in condizioni di contrastare l’aggressività russa, anche in vista della (annunciata) controffensiva di primavera.

Sin dall’inizio dell’invasione, Kiev esprime agli alleati la necessità di uno scudo per proteggere il suo spazio aereo da Mosca. Ma mai come in queste settimane si è fatta pressante la richiesta di un sistema di difesa avanzato ed efficace. Gli americani hanno fornito recentemente i Patriot, fondamentali per neutralizzare i missili da crociera e balistici russi. Ma il sistema ha un costo estremamente elevato – una batteria è intorno al miliardo di dollari, ogni intercettore tra i 3 e i 4 milioni – ed è insostenibile l'utilizzo di una risorsa del genere per distruggere missili da crociera russi da 250mila dollari l’uno o, peggio, droni, come gli Shahed iraniani, da 50mila dollari a pezzo. La Germania ha trasferito il sistema antiaereo Iris-T, che si è rivelato particolarmente efficace. Ma non basta (anche perché le munizioni finiscono in fretta).

Zelensky da tempo si è rivolto a Israele, Paese protetto dal sistema Iron Dome, che contrasta con efficacia missili a corto raggio, droni e proiettili di artiglieria con traiettoria balistica. Gli Stati Uniti (che hanno contribuito allo sviluppo del sistema) starebbero facendo pressioni affinché Gerusalemme acconsenta all’invio del dispositivo in Ucraina (in qualità di principale produttore del sistema, Israele dovrebbe concedere il permesso agli Stati Uniti di trasferirlo a qualsiasi altro Paese). Settimana scorsa il comandante della Difesa spaziale e missilistica dell’esercito americano Daniel Karbler, durante un’audizione in Senato, ha detto che una delle due batterie americane sarebbe pronta all’invio, se Kiev ne facesse richiesta. Ma Israele è riluttante.

Yonah Jeremy Bob, analista di intelligence e della Difesa del Jerusalem Post, ha spiegato che concedere Iron Dome a Kiev produrrebbe pochi benefici e molti rischi. L’aspetto più evidente è che se servono 10 batterie di Iron Dome per proteggere Israele, ce ne vorrebbero dozzine (e non ci sono) per difendere adeguatamente un territorio esteso come quello ucraino. Inoltre, Iron Dome si rivelerebbe poco o per nulla efficace contro i missili a lunga gittata di Putin (non è un caso che Israele si sia recentemente dotata di un sistema di difesa aerea chiamato Fionda di Davide, destinato in particolare a contrastare la minaccia dell'Hezbollah libanese, che può misurarsi con minacce molto più significative dei Qassam o dei Grad palestinesi, fra cui missili balistici, e ha un raggio di copertura del terreno decisamente superiore a Iron Dome). L’impatto della “Cupola di ferro” in Ucraina sarebbe dunque prevalentemente “politico”, e, restando su questo terreno, Israele, che pure sostiene il principio della sovranità ucraina contro l’invasione russa, ha molto più interesse a non stimolare un’escalation con Mosca.

Agli ucraini Gerusalemme ha comunque fornito in prova il sistema Red Alert, che identifica e segnala l’arrivo di razzi o droni, consentendo il trasferimento tempestivo dei civili nei rifugi. Il dispositivo si attiva solo nelle zone che possono essere effettivamente colpite, e se i test daranno risultati positivi, verrà implementato nel giro di pochi mesi. Iron Dome sembra dunque destinato a restare quello per cui è nato: un sistema israeliano per la difesa di Israele.

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