venerdì 3 gennaio 2020
James Dailey, 73 anni, trenta dei quali trascorsi in cella in Florida Un altro uomo ha confessato l’omicidio di cui è accusato. Però le autorità rifiutano di riaprire il caso
James Dailey ha 73 anni

James Dailey ha 73 anni

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James Dailey è quasi sicuramente innocente. Ma, dopo aver passato più di 30 anni di prigione, rischia di essere messo a morte con un’iniezione letale nelle prossime settimane, nonostante un altro uomo abbia confessato di essere il solo responsabile dell’omicidio che l’ha portato dietro le sbarre nel carcere di Stato di Raiford, in Florida. Il caso del 73enne reduce del Vietnam ha sollevato numerosi appelli da parte della comunità cattolica americana.

Lo scorso ottobre, l’invito degli otto vescovi della Florida al governatore (cattolico) Ron DeSantis e alla Corte Suprema dello Stato a riaprire il caso ha portato a una sospensione di tre mesi dell’esecuzione. Ma nulla ha finora convinto i giudici o il capo dell’esecutivo statale a permettere ai legali di Dailey di presentare nuove prove della sua innocenza. Un rifiuto motivato da impedimenti procedurali.

«Mentre esortiamo sempre le autorità a interrompere ogni esecuzione e porre fine all’uso della pena di morte, questo caso è particolarmente allarmante – hanno scritto i vescovi –. La Florida commette più errori di qualsiasi altro Stato nel condannare a morte persone innocenti, e ci sono prove e- videnti che la condanna a morte di James Dailey è l’ennesimo fallimento della giustizia».

Il veterano dell’aeronautica statunitense è in cella dal 1985 per l’omicidio della quattordicenne Shelly Boggio, un assassinio che all’epoca turbò profondamente lo Stato. Dailey proclama da sempre la sua innocenza e nessuna prova fisica lo lega al crimine. Nel corso del suo processo, l’unico testimone ad accusarlo fu un altro carcerato che sostenne, in cambio della libertà, che il sospetto gli aveva confidato la sua colpevolezza in carcere durante la detenzione preventiva.


Sono 21 gli Stati americani che hanno già hanno abolito la pena di morte, oltre al Distretto di Columbia, che ospita la capitale Washington. Si tratta di Alaska, Connecticut, Delaware, District of Columbia, Hawaii, Illinois, Iowa, Maine, Maryland, Massachusetts, Michigan, Minnesota, New Hampshire, New Jersey, New Mexico, New York, North Dakota, Rhode Island, Vermont, Washington, West Virginia e Wisconsin.

Jack Pearcy, all’epoca coinquilino di Dailey, aveva già ammesso di aver ucciso da solo la ragazzina ed era già stato condannato all’ergastolo. Ma la procura della contea di Pinellas, che si affaccia sul golfo della Florida, non era riuscita a calmare la paura della popolazione – insoddisfatta che il condannato non avesse ricevuto la pena di morte – che un altro omicida fosse ancora in circolazione.

Ed è qui che Paul Skalnik entra in gioco. Un vicino di cella di Dailey, che era stato arrestato perché aveva ammesso di aver incontrato la vittima a casa sua il giorno della sua morte, con una condanna a vent’anni di reclusione sulle spalle, si era già fatto conoscere dalle autorità per la sua capacità di strappare confessioni agli altri prigionieri.

La reputazione di “informatore” era nota in carcere e agli agenti della polizia che lo hanno arrestato numerose volte e che lo hanno definito, in tribunale, un «imbroglione di prima categoria». L’accusa riuscì però a farlo passare come testimone credibile e a strappare una seconda condanna: quella di Dailey.

Da allora il reo confesso Pearcy ha già firmato quattro dichiarazioni sotto giuramento che assicurano l’estraneità di Dailey. L’ultima è stata consegnata a mano al governatore della Florida negli ultimi giorni da tre ex prigionieri del braccio della morte, due della Florida – Juan Melendez ed Herman Lindsey – e uno dell’Ohio, Derrick Jamison, tutti assolti dal loro crimine e rilasciati dopo aver dimostrato la loro innocenza.

Sono proprio gli errori giudiziari e il crescente numero di revisioni delle sentenze, rese possibili da test del Dna, ad aver portato a una svolta dell’opinione del pubblico americano sulla pena capitale. Secondo un sondaggio Gallup, oggi, per la prima volta, posti davanti all’alternativa tra esecuzione o carcere a vita, sei americani su dieci sostengono che l’ergastolo è la pena da preferire.

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