Harris vs Trump - Reuters
Maschi conto femmine? Secondo un sondaggio realizzato dalla Suffolk University per il quotidiano americano USA Today, la partita che vede lui, Donald Trump, e lei, Kamala Harris, contendersi la poltrona dello Studio Ovale è essenzialmente una contesa di genere.
Il favore per i due candidati è sbilanciato, forse mai come prima nella storia, tra uomini e donne: i primi stanno con il tycoon repubblicano, le seconde con la vicepresidente democratica.
Perché? La questione è complessa e non riguarda solo l’aborto. Harris è la prima donna di colore ad aver ottenuto una candidatura presidenziale e solo la seconda, dopo Hillary Clinton nel 2016, a essere arrivata così vicina alla guida del Paese più potente del mondo. L’argomento potrebbe avere un certo appeal ma la stessa candidata ha più volte cercato di neutralizzarlo. Il mese scorso, in un’intervista alla Cnn, ha sottolineato di essere, semplicemente, «la persona migliore per svolgere il ruolo di presidente indipendentemente da razza e genere».
I suoi consulenti elettorali non lo dicono apertamente ma ritengono che nel Paese dilaghi una sorta di “sessismo latente” che, tuttavia, è difficile da dimostrare perché, nel 2024, dopo gli scossoni del movimento #MeToo, pochi sono disposti ad ammettere pubblicamente che alla Casa Bianca vedono meglio un uomo piuttosto che una donna.
Per Trump, invece, la questione non esiste: la rivale non va votata perché è «debole, disonesta e pericolosamente liberale», non perché è donna. Eppure, il vantaggio di cui gode tra gli americani maschi è certificato dalle statistiche. Se così non fosse, non avrebbero senso nemmeno i continui richiami, talvolta volgari, alla mascolinità e alla virilità che caratterizzano i suoi comizi. Gli asinelli sono da tempo il partito delle americane. Il loro impegno a tutela dell’aborto, diritto smontato nel 2022 dalla sentenza della Corte Suprema, ha solo rafforzato una tradizione risalente agli anni ’80.
Il “fattore donna” è però ciò che, otto anni fa, potrebbe aver penalizzato la candidatura di Clinton. Intervistata dalla Bbc, la deputata democratica Madeleine Dean ha ricordato: «La questione era proprio il “lei”» che aveva caratterizzato una campagna condotta al pioneristico grido: «I’m with her». Secondo gli esperti la resistenza dell’America all’idea di una “Madam President” è in parte legata proprio ai passi in avanti compiuti dalle donne nell’ambito dell’istruzione e del lavoro: troppo veloci e ambiziosi. I giovani uomini, in particolare, si sentono lasciati indietro. Frustrati, ha spiegato John Della Volpe, direttore dei sondaggi presso l’Harvard Institute of Politics, «anche dal non poter fare domande senza rischiare di essere etichettati come misogini, omofobi o razzisti».
Ragazzi “normali” (non odiatori tout court delle donne, come i celibi contro volontà di Incel) che pure sostengono l’uguaglianza di genere. Sono questi quelli a cui Trump parla portando i discorsi da spogliatoio sui palchi dei comizi. Quelli a cui è rivolto lo spot pro-Harris dell’attore Ed O’Neill: «Sii uomo: vota per una donna». La candidata democratica fa fatica a portarli dalla propria parte ma ha un asso nella manica: statisticamente, i maschi votano meno.