domenica 6 novembre 2016
A un mese dall'uragano, mille vittime non bastano a commuovere il mondo
Con i raccolti distrutti, nel sud non c'è più cibo. E la gente assalta i convogli.

Con i raccolti distrutti, nel sud non c'è più cibo. E la gente assalta i convogli.

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La devastazione è ovunque. Gli alberi, divelti, sono sono stati sparsi alla rinfusa dalla furia del vento. Il paesaggio, sfregiato, è un ammasso informe di fango e detriti. Così appare il sud di Haiti un mese dopo il violento passaggio dell’uragano Matthew. L’impatto del tornado è stato devastante: nei giorni tra il 2 e il 6 ottobre, quasi mille persone sono morte, in 175mila hanno perso la casa e sono sfollati. Una simile catastrofe avrebbe messo in seria difficoltà ogni nazione.

Ma Haiti non è un Paese qualunque: è il più povero Stato dell’Occidente, ancora in faticosa ripresa dal terremoto del 2010, in cui morirono 230mila persone. L’effetto-Matthew ha, dunque, messo letteralmente l’isola in ginocchio. Eppure, distratto da troppe questioni, il mondo sembra non accorgersene. Secondo le organizzazioni internazionali, 1,4 milioni di abitanti – tra cui 600mila bimbi – hanno necessità di assistenza immediata. Almeno 800mila di questi – ha ribadito la Fao – sono allo stremo. A preoccupare sono soprattutto le conseguenze di lungo periodo. L’uragano ha distrutto tra l’80 e il 90 per cento dei raccolti nei distretti di Grand’Anse, Nippes, Sud-est, Ovest, Artibonite e Nord-Ovest. La quasi totalità del bestiame è annegata. La gente è senza cibo. «Nel corso delle visite mediche, i nostri pazienti ci raccontano che non sanno come sfamare le proprie famiglie», ha detto Emmanuel Massart, coordinatore del progetto di Medici senza frontiere (Msf) in Grand Anse. L’équipe della Ong è allarmata dal livello nutrizionale molto basso nei bambini sotto i cinque anni.

Oltretutto, il tempo della nuova semina si avvicina. I contadini, però, non hanno niente da piantare: se non riceveranno al più presto aiuto, sarà la carestia. A questo si somma la recrudescenza del colera e di altre malattie infettive a causa delle precarie condizioni igieniche. Le Nazioni Unite sono state chiare: sono necessari 120 milioni di dollari per affrontare l’emergenza. Nonostante i ripetuti appelli del Segretario generale, Ban Kimoon, però, ne sono arrivati a malapena sedici. Haiti, “l’invisibile” non è una priorità geopolitica. La sensazione di abbandono e le condizioni oggettivamen- te disperate non fanno che esasperare la popolazione. «I camion con il cibo vengono assaltati. Devono viaggiare con la scorta delle forze dell’Onu. Giorni fa una nave con aiuti alimentari è stata costretta a fare dietrofront: al porto rischiava di scatenarsi una rivolta per il cibo», ha raccontato Michel Roy, segretario generale di Caritas Internationalis, al Sir. Martedì, un 14enne è stato ucciso dalle forze dell’ordine a Les Cayes mentre cercava di prendere del cibo da un’imbarcazione in arrivo da Porto Rico.

È la seconda vittima delle “rivolte della fame” in una settimana. Le morti hanno fatto salire la tensione a tal punto che l’Ong Avsi ha dovuto sospendere la distribuzione di soccorsi. Sempre martedì, paradossalmente, è cominciata la campagna per le presidenziali del 20 novembre. È la quinta volta in un anno che il Paese cerca di andare alle urne. L’ultima, il 9 ottobre, il voto era slittato proprio a causa di Matthew. Ora, potrebbe saltare di nuovo. Nel frattempo, alcuni politici cercano di strumentalizzare il dramma, distribuendo cibo in chiave “elettorale”. Il che non fa altro che far montare la rabbia. L’implosione è un pericolo concreto. «Per questo non possiamo lasciare sola Haiti », ha tuonato Roy. La Conferenza episcopale italiana (Cei) ha già stanziato un milione dei fondi dell’8xmille mentre papa Francesco ha inviato 100mila euro mediante il CorUnum. Tali aiuti hanno contribuito ad offrire un primo soccorso alle famiglie colpite. Ora, però, dopo aver ascoltato le Caritas locali, Caritas Internationalis sta lavorando a interventi che consentano il riavvio delle attività produttive. Per questo, a breve, lancerà un nuovo appello per raccogliere 5,5 milioni di euro. «È importante lo sforzo di tutto per arrivarci». In gioco c’è la sopravvivenza di un Paese.

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