lunedì 25 luglio 2022
Quattro attivisti birmani per la democrazia sono stati uccisi per aver collaborato a organizzare "atti terroristici": si tratta delle prime esecuzioni di prigionieri politici dagli anni Ottanta
Kyan Min Yu e Phyo Zeyar Thaw, due dei 4 attivisti uccisi dal regime di Myanmar

Kyan Min Yu e Phyo Zeyar Thaw, due dei 4 attivisti uccisi dal regime di Myanmar - via Reuters / Mrtv

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Quattro oppositori del regime al potere in Myanmar dal primo febbraio 2021 sono stati messi a morte. A confermare le esecuzioni e l’identità delle vittime sono stati i mass media controllati dalla giunta militare guidata dal generale Min Aung Hlain. Si tratta di Phyo Zeyar Thaw, avvocato, già esponente delle Lega nazionale per la democrazia – il partito co-fondato e guidato dalla Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi – e Kyaw Min Yu (Ko Jimmy), attivista di spicco per la democrazia e contro la dittatura dai tempi della repressione nelle università del 1988.

I due erano stati giudicati il 21 gennaio, a porte chiuse, da un tribunale militare per presunte «azioni terroristiche», gli altri due erano stati chiamati in causa nell’omicidio di una informatrice della polizia.

Le esecuzioni rappresentano un “salto di qualità” nella strategia di consolidamento al potere dei militari dopo un decennio di precaria divisione del potere con i civili. Era dal 1988 che ufficialmente non si eseguivano condanne a morte e addirittura risalgono al 1976 le ultime esecuzioni di oppositori politici.

Ancora una volta, per gli osservatori e per l’opposizione, si tratta di azioni che tradiscono la debolezza di un governo delegittimato all’esterno e combattuto all’interno. La notizia delle esecuzioni sta già sollevando, fuori dai confini, un’ondata di sdegno e di proteste.

Dura la condanna dell’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, che ha condannato una mossa «crudele e regressiva». Ferma la condanna del nostro Paese di esecuzioni avvenute «nonostante i ripetuti appelli nostri e della comunità internazionale». «Esprimiamo – si legge in una nota della Farnesina – profonda solidarietà alle famiglie in lutto; sosteniamo il popolo del Myanmar nella sua battaglia per la libertà e democrazia; rinnoviamo l’appello al regime per la fine delle violenze, il rilascio di tutti i prigionieri politici e la reintroduzione della moratoria sulla pena di morte». Chiara la posizione di Washington: «Condanniamo l’esecuzione da parte del regime militare di attivisti e funzionari eletti per aver esercitato le loro libertà fondamentali», ha dichiarato via Twitter l’ambasciata statunitense a Yangon.

Di «un atto della massima crudeltà» ha parlato Human Rights Watch. «I Paesi dell’Unione Europea, gli Stati Uniti e gli altri governi devono mostrare alla giunta che dovrà affrontare la responsabilità dei suoi crimini», ha dichiarato Elaine Pearson, direttrice per l’Asia dell’organizzazione umanitaria.

«La comunità internazionale non può continuare a chiudere gli occhi di fronte all’orrore delle azioni criminali della giunta militare genocida birmana» è la denuncia dell’associazione “Italia-Birmania. Insieme” che in una nota ha ricordato come l’Unione Europea e altri Paesi abbiano di fatto delegato all’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean) la ricerca di una soluzione negoziata della crisi, nonostante la tradizionale politica di non ingerenza tra i dieci Stati-membri. Le esecuzioni compiute dalla giunta militare del Myanmar «sono un ulteriore esempio dell’atroce situazione dei diritti umani in Myanmar» ha dichiarato Erwin van der Borght, direttore regionale di Amnesty International.

Secondo le stime dell’organizzazione Assistance Association for Political Prisoners impegnata da anni a monitorare la situazione dei diritti umani in Myanmar, sarebbero 117 le condanne a morte dal golpe, di cui 41 in contumacia.

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