venerdì 15 marzo 2024
Il governo ha deciso di annullare la svolta compiuta nel 2000 per motivi legati alla guerra che si continua a combattere nell'est del Paese. Società civile e Amnesty accusano il presidente Tshisekedi
Il presidente congolese Felix Tshisekedi

Il presidente congolese Felix Tshisekedi - Ansa

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La Repubblica Democratica del Congo ha revocato la moratoria sulla pena di morte: ufficialmente la motivazione è il "tradimento e lo spionaggio che alimentano i conflitti armati ricorrenti". Il Paese dei Grandi laghi africani aveva introdotto la moratoria sulla pena di morte all’inizio del 2000. Tuttavia, nonostanrte lo stop, la pratica non è mai stata abolita per legge.

Il ministro della Giustizia Rose Mutombo ha scritto nella circolare del 13 marzo che la pena di morte è stata reintrodotta "per liberare l'esercito dai traditori e frenare la recrudescenza del terrorismo e degli atti di banditismo". Una decisione, questa, stata adottata all'unanimità dal Consiglio dei ministri del 9 febbraio.

In Congo la condanna a morte può essere quindi ancora comminata in caso di crimini di guerra, crimini contro l'umanità, spionaggio, ribellione e associazione a delinquere, come indica il documento del governo.

Due province nell'est del Paese, Nord Kivu e Ituri, sono sotto stato d'assedio dal 2021. Negli ultimi mesi decine di oppositori politici, uomini d'affari, dipendenti pubblici e soldati sono stati arrestati per collusione con la ribellione dell'M23 e il Ruanda. L’M23 è un gruppo guidato dai tutsi e vicino a Kigali che quest’anno ha intensificato la sua campagna nel Congo orientale. Esperti delle Nazioni Unite e potenze occidentali come gli Stati Uniti e la Francia affermano che il gruppo è sostenuto dal Ruanda, cosa che il Ruanda nega.

"Oltre ad essere incostituzionale, la revoca della moratoria apre la porta alle esecuzioni sommarie in questo paese, dove il cattivo funzionamento del sistema giudiziario è riconosciuto da tutti", ha affermato il movimento della società civile Lucha sulla piattaforma X. Amnesty International ha affermato che questa decisione rappresenta un grave passo indietro e un ulteriore segno dell'allarmante marcia indietro in materia di diritti umani da parte dell'amministrazione del presidente Felix Tshisekedi.


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