lunedì 15 febbraio 2021
Pechino ha due assi nella manica: i sieri sono meno costosi di quelli americani e non richiedono una tecnologia sofisticata per il trasporto
La Cina sta moltiplicando i "regali" di dosi, soprattutto nel Sud del mondo

La Cina sta moltiplicando i "regali" di dosi, soprattutto nel Sud del mondo - Ansa

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Non sono solo lo strumento per “addomesticare” e neutralizzare il Covid. I vaccini sono anche una potentissima arma per intrecciare relazioni, consolidare rapporti, imporre rapporti di forza inediti. Dopo oltre due milioni di morti e con l’economia a picco in buona parte del globo, uscire (e far uscire) prima di altri dal tunnel della pandemia significa ottenere un vantaggio strategico. Significa poter aprire nuovi, dirompenti, scenari.
Pechino si sta muovendo. Velocemente. È in prima linea in quella che è stata ribattezzata come “la diplomazia dei vaccini”. Come ha sottolineato Huang Yanzhong, esperto di sanità pubblica del prestigioso think tank Council on Foreign Relations, «il vaccino contro il Covid-19 è diventato uno strumento per aumentare l’influenza globale della Cina e imprimere una nuova direzione a questioni geopolitiche». La diplomazia dei vaccini rappresenta, per il Paese che per primo ha fronteggiato la pandemia, una duplice opportunità. Primo: riparare il danno di immagine legato all’origine del coronavirus e ai ritardi con cui è stata affrontata (in casa) e comunicata (al mondo) l’emergenza. Secondo: sfruttare commercialmente (e politicamente) l’arma della distribuzione dei vaccini.
Pechino ha puntato tutto sul fattore tempo. Ha inoculato sieri al di fuori dei trial clinici controllati e prima che la loro efficacia fosse dimostrata. Ha aperto a una politica globale, con il presidente Xi Jinping che più volte ha dichiarato che il vaccino cinese sarà un «bene pubblico globale», contrapponendosi alla logica “isolazionistica” e aggressiva sventolata dall’allora presidente americano Donald Trump. I Paesi asiatici sono stati i primi a beneficiarne: Filippine, Malaysia, Cambogia, Laos, Myanmar e Vietnam, a cui Pechino ha promesso priorità nella distribuzione, e ancora Nepal e Sri Lanka. L’Indonesia si è aggiudicata due “commesse” dalla cinese Sinopharm, rispettivamente da 1,2 milioni di dosi e da 1,8 milioni. Da parte sua la Thailandia utilizzerà il vaccino prodotto da Sinovac: il primo lotto arriverà nel Paese entro il mese di aprile.
Ad agosto, il primo ministro cinese, Li Keqiang, aveva promesso la priorità nella distribuzione del vaccino ai Paesi che si affacciano sul Mekong: come ha scritto l’agenzia Agi, «uno studio pubblicato a Singapore sottolinea come la tattica di Pechino comprenda l’ammorbidimento delle posizioni dei Paesi del sud-est asiatico sulle rivendicazioni di sovranità di Pechino sul Mar Cinese meridionale, che infiammano anche i rapporti tra Cina e Stati Uniti per l’influenza nella regione».
Ma non solo Asia. Pechino punta a conquistare anche altri mercati. In Serbia sono già arrivati due lotti: a gennaio (un milione di dosi) e giovedì scorso (500mila dosi). Circa centomila dosi sono state poi “donate” alla Guinea Equatoriale. Pechino sa di poter contare su una serie di assi nella manica. E su alcuni vantaggi formidabili, anche sul suo principale competitore, gli Stati Uniti. Il coronavirus è meno pervasivo in Cina che altrove, tanto che Pechino – come ha scritto l’agenzia Bloomberg – può permettersi un ritmo di vaccinazione inferiore a quello di altri Paesi: l’obiettivo è di immunizzare 50 milioni di persone entro metà febbraio. I vaccini cinesi si basano sulla tecnologia già sperimentata del virus inattivato e non su quella, più innovativa ma anche più costosa, della terapia genetica. Tradotto: il costo dei vaccini “made in China” è più ridotto, e dunque più competitivo, rispetto ai sieri Usa. Non solo: il vaccino cinese non richiede la sofisticata tecnologia per il trasporto necessari ai vaccini Pfizer e Moderna.
Come si legge sul report “Top Risks 2021” elaborato dall’Eurasia Group, «la Cina è pronta a superare gli Stati Uniti. Avendo in gran parte contenuto la pandemia all’interno dei confini del Paese, il potente apparato statale cinese sarà in grado di esportare vaccini più facilmente. E a differenza dei più sicuri vaccini disponibili negli Stati Uniti, quelli cinesi possono essere spostati in sicurezza a una temperatura relativamente calda, rendendoli attraenti per i Paesi a reddito medio e basso che non hanno infrastrutture della catena del freddo». Gli Usa insomma “vendono” più sicurezza, la Cina più velocità. Ma il mondo non può più attendere.

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