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L'ingegnere Mohammad Abedini Najafabad, 38: era stato arrestato a Malpensa il 16 dicembre su richiesta degli Stati Uniti - Ansa
È rientrato in Iran l'ingegnere arrestato all'aeroporto di Malpensa il 16 dicembre. Il suo caso era stato messo in relazione con l'arresto della giornalista Cecilia Sala avvenuto a Teheran il 19 dicembre. Ieri il ministro della Giustizia, Nordio, ha firmato la richiesta di revoca dell'arresto di Mohammed Abedini Najafabadi: su di lui pendeva il mandato di arresto internazionale degli Stati Uniti, che lo accusano di aver avuto un ruolo chiave in un attentato in Giordania un anno fa, dove persero la vita tre militari americani.
Con l'atterraggio di Abedini a Teheran, scarcerato dopo 27 giorni di reclusione in Italia, si chiude una vicenda complessa che ha visto lavorare sottotraccia il nostro Paese assieme a Usa e Iran. La stessa premier Meloni, la quale una settimana fa aveva incontrato a Mar a Lago il presidente eletto Donald Trump, aveva fatto sapere che sul caso c'era un "vaglio tecnico e politico" e se ne discuteva "con gli amici americani". Meloni aveva precisato che avrebbe voluto parlarne anche con Biden, che sarebbe dovuto venire in Italia ma poi è stato trattenuto negli Usa per l'emergenza incendi a Los Angeles.
La motivazione: un reato non è previsto in Italia e degli altri non ci sono prove
Nonostante la liberazione di Sala, il governo ha sempre escluso che le due vicende fossero collegate. Ma nelle ultime ore la richiesta del Guardasigilli appare come l'ultimo colpo di scena: esercitando la facoltà che gli è riconosciuta dall'articolo 718 del codice di procedura penale, Nordio ha depositato alla Corte d'Appello di Milano (obbligata ad attenervisi) la revoca della custodia cautelare dell'ingegnere iraniano. Le motivazioni principali sono due: uno dei reati di cui è accusato Abedini - "l'associazione a delinquere per violare l'Ieepa (la legge sui poteri economici in caso di emergenza internazionale)", non è previsto in Italia: la norma americana fa riferimento alla legge federale statunitense, che conferisce al presidente Usa il potere di identificare qualunque minaccia abbia origine al di fuori degli Stati Uniti. Inoltre non avrebbero trovato riscontro le altre due ipotesi di reato, secondo cui l'ingegnere con la sua società svizzera di droni avrebbe supportato il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (inserito dagli Usa tra le organizzazioni terroristiche). Insomma, per gli investigatori mancherebbero le prove. Soddisfazione è stata espressa da Teheran, che ha elogiato "la cooperazione di tutte le parti interessate". Si è trattato di un "malinteso" - secondo l'agenzia ufficiale della magistratura iraniana, Mizan - ma il "problema è stato comunque risolto grazie al seguito dato dal ministero degli Esteri dell'Iran e alle trattative tra l'intelligence della Repubblica islamica e i servizi segreti italiani".
Era sollevato per la liberazione di Sala
Fino a ieri mattina Abedini era detenuto in regime di stretta sorveglianza nel carcere di Opera: era in attesa di rendere dichiarazioni spontanee in aula a Milano all'udienza del 15 gennaio sull'istanza per i suoi domiciliari, dove avrebbe ribadito di persona la sua disponibilità al braccialetto elettronico e l'intenzione di non voler fuggire dall'Italia. Al suo avvocato aveva detto di essere "sollevato" per la liberazione di Cecilia Sala, ma "preoccupato" per le proprie sorti e "sempre più provato" e "distrutto dal punto di vista umano ed emotivo". Poi all'alba, non appena arrivata la richieste di revoca della misura cautelare firmata da Nordio, si è riunito d'urgenza un collegio della quinta Corte d'Appello per la ratifica.
Chi era l'ingegnere italo-svizzero “dei droni”
Abedini, ingegnere con permesso di soggiorno in Svizzera e soprannominato "l'uomo dei droni", nel 2011, dopo la laurea, ha fondato con due soci l'azienda San'at Danesh Rahpooyan Aflak, la Sdra. Nel 2015, a Losanna come ricercatore, prosegue la sua attività commerciando in componenti per sistemi di navigazione, utilizzabili su droni militari, ordinandoli in America. Dopo aver messo a punto dei microtelecomandi che diventeranno il sistema di navigazione Sepehr per i droni dei pasdaran, nel 2018, ha fondato una nuova società, svizzera, la SadraLab, con la quale, per l'accusa, avrebbe fornito, con un complice naturalizzato in Usa e ora in un carcere statunitense, supporti tecnologici per i pasdaran. Al momento dell'arresto gli sono stati sequestrati, pc, smartphone, chiavette usb e schede tecniche al momento in custoditi in una cassaforte della procura di Milano, dove è aperta una indagine conoscitiva. Materiale che interessa molto gli Usa e che non è escluso possa essere consegnato via rogatoria