Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken - REUTERS
Il segretario di Stato americano Antony Blinken è in Medio Oriente. Per la quinta volta dall’inizio della guerra. Scopo della missione ricucire una tela diplomatica sempre più sbrindellata. E raggiungere (finalmente) una nuova tregua nella guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza e ottenere l'ingresso di maggiori aiuti alla popolazione palestinese. Il nodo da sciogliere resta proprio la durata del cessate il fuoco, che Hamas vuole sia totale.
La prima tappa di Blinken è in Arabia Saudita, Paese che prima del conflitto stava riflettendo su come stabilire relazioni con Israele, un passo potenzialmente storico. Il capo della diplomazia Usa volerà poi in Israele, Egitto e Qatar; quest'ultimo, principale intermediario con Hamas che controlla la Striscia e mantiene un ufficio a Doha. In vista del viaggio Blinken ha sottolineato la necessità di "affrontare urgentemente i bisogni umanitari a Gaza", dopo che gruppi umanitari hanno più volte lanciato l'allarme per l'impatto devastante di quasi cinque mesi di guerra sul territorio assediato.
Si lavora sulla proposta elaborata a Parigi dai rappresentanti di Qatar, Egitto, Israele e Stati Uniti. L’ipotesi prevede una tregua di sei settimane con la liberazione di 200-300 palestinesi detenuti in Israele in cambio di 35-40 ostaggi, secondo quanto ha riferito una fonte di Hamas. Secondo le autorità israeliane gli ostaggi sono 132 ostaggi ma 28 sarebbero morti.
Pur affermando di continuare a sostenere "il diritto di Israele alla difesa", gli Stati Uniti mostrano una crescente frustrazione nei confronti del governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Alcuni esponenti estremisti dell'esecutivo di Tel Aviv, in particolare il ministro Itamar Ben Gvir, criticano apertamente il presidente americano Joe Biden, dopo che Washington ha adottato inedite sanzioni contro i coloni estremisti accusati di violenza contro i palestinesi in Cisgiordania.
Ancora raid israeliani sulla Striscia di Gaza - ANSA
HAMAS ALZA LA POSTA
Per ora l’accordo per la tregua non sembra imminente. Hamas prende tempo. La fazione islamica alza il prezzo. Non solo per quanto riguarda la liberazione dei detenuti palestinesi per i quali non si accontenterebbe di uno scambio 3 a 1 con gli ostaggi, come previsto nei precedenti accordi. Ma soprattutto condizionerebbe il suo via libera ad un cessate il fuoco totale. Una richiesta quest'ultima, da sempre rifiutata da Israele con il premier Benyamin Netanyahu che ha ribadito le linee rosse: "I nostri sforzi per liberare gli ostaggi procedono incessantemente" ma "come ho già detto, non accetteremo ogni accordo né ad ogni prezzo", ha ribadito. "Non si è ancora in vista di un'intesa, ci sono grandi divari tra le parti", ha detto una fonte di Hamas al network al Quds. Per la tv israeliana Kan la mancata risposta sarebbe legata alla persistente diversità di posizioni sull'accordo tra il leader di Hamas all'estero Ismail Haniyeh e quello a Gaza Yahya Sinwar. Secondo la stessa emittente, nella richiesta avanzata dalla fazione palestinese per la libertà di un maggior numero di detenuti palestinesi, sarebbero inclusi quelli della "Forza Nukheba", responsabile principale dell'attacco del 7 ottobre. Richiesta su cui Netanyahu, che ha convocato il Gabinetto di guerra al ministero della difesa a Tel Aviv, non transige: "Molte cose che sono state dette nei media come se le avessimo accettate, ad esempio la liberazione dei terroristi - ha spiegato - non le accettiamo". Netanyahu ha poi confermato che Israele non metterà fine alla guerra fino "all'eliminazione di Hamas, al ritorno di tutti gli ostaggi e al fatto che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele".
Al 122esimo giorno di guerra, l'esercito israeliano è focalizzato sulla roccaforte di Hamas di Khan Yunis, nel sud di Israele dove ha preso il controllo del Quartier generale della Brigata locale dove si trovavano tra l'altro gli uffici di Sinwar. Ma è tutto il sud nel mirino con il ministero della sanità di Gaza controllato da Hamas che ha denunciato "un attacco israeliano contro un asilo nella città di Rafah" che ha causato la morte "di almeno due bambine". Secondo la stessa fonte ci sarebbero "anche decine di feriti" e che nell'asilo "avevano trovato rifugio molti sfollati".
Forze Houthi nei pressi della capitale Sanaa - REUTERS
NUOVI RAID USA CONTRO GLI HOUTHI
Resta caldissimo anche l’altro fronte, quello del Mar Rosso. Le forze americane hanno annunciato di aver effettuato attacchi aerei contro cinque missili nello Yemen, il giorno dopo alcuni raid condotti insieme con il Regno Unito come rappresaglia per gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso. L'esercito americano afferma di aver "effettuato un attacco per legittima difesa" contro "un missile da crociera terrestre degli Houth" e poi contro "quattro missili da crociera anti-nave, pronti per essere lanciati contro le imbarcazioni nel Mar Rosso". Washington "ha identificato i missili nelle zone dello Yemen controllate dagli Houthi e ha stabilito che rappresentavano una minaccia imminente per le imbarcazioni della marina americana e dei mercantili nella regione".
"L'Italia sarà un bersaglio se parteciperà all'aggressione contro lo Yemen". La minaccia arriva da Mohamed Ali al-Houti, uno dei leader degli Houti yemeniti, in un'intervista a Repubblica. L'Unione Europea ha annunciato una nuova missione militare difensiva nel Mar Rosso. "Consigliamo agli europei di aumentare la pressione sui responsabili degli orrori a Gaza. Le nostre operazioni mirano a fermare l'aggressione e a sollevare l'assedio. Qualsiasi altra giustificazione per l'escalation da parte degli europei è inaccettabile", prosegue. L'Italia ne prenderà parte. "L'Italia diventerà un bersaglio se parteciperà all'aggressione contro lo Yemen", sottolinea ancora il leader yemenita.
Quelle da parte degli Usa "sono aggressioni illegali e di un terrorismo deliberato e ingiustificato. Gli aerei d'aggressione americano-britannici hanno lanciato 48 attacchi aerei contro lo Yemen, colpendo Sana'a e Hodeida insieme ad altri obiettivi. In precedenza, hanno preso di mira le nostre pattuglie nel Mar Rosso, causando il martirio delle forze navali - spiega -. Questi bombardamenti non influenzeranno le nostre capacità. Anzi ci rafforzano. Gli americani e i britannici devono capire che in questa fase siamo pronti a rispondere, e il nostro popolo non conosce la resa. Le nostre acque e i nostri mari non sono un parco giochi dell'America". Nel Mar Rosso secondo il leader Houti "non c'è alcun blocco. Prendiamo di mira solo le navi associate a Israele, che si dirigono verso porti occupati, di proprietà di israeliani, o entrano nel porto di Eilat. Qualsiasi nave non legata a Israele non subirà danni - conclude -. Non abbiamo intenzione di chiudere lo stretto di Bab el Mandeb o il Mar Rosso. Se volessimo farlo, ci sarebbero altre misure più semplici rispetto all'invio di missili".