martedì 30 aprile 2019
Da Benladen a Zawahiri, l'«arma di tutte le rivoluzioni» è entrata nell'iconografia "classica" del terrorismo. Ma ora il Daesh sta cambiando faccia
Ossa Benladen nel dicembre del 2001 (Ansa)

Ossa Benladen nel dicembre del 2001 (Ansa)

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Quando la parola non ha più effetto, allora servono i simboli. Primo fra tutti l’Ak47, nelle sue più ampie versioni, il fucile di tutte le rivoluzioni: il Kalashnikov. Ossama Benladen, Zawahiri, persino un anonimo genero di Benladen sino ad arrivare all’ultimo della serie: Abu Bakr al.Baghdadi. Che all’iconografia classica non si è sottratto, compreso l’henné rosso della barba tipico dello Yemen e probabilmente anche messaggio in codice per qualcuno. Almeno così credono gli esperti di terrorismo, gli stessi che ora ritengono sia in atto una mutazione all’interno del movimento che un tempo regnava tra l’Iraq e la Siria con l’acronimo di Isis, stato islamico. Subito ribattezzato Daesh, in senso spregiativo, da chi quel Califfato lo combatteva. Ora Baghdadi si è trasformato, per l’annesima volta.


Basta balconi della Grande moschea di Mosul, basta rivendicazioni in tempo reale e sui sociali più diffusi degli attentati. Basta chiamate a difesa del Califfato, che territorialmente non esiste più. Ora invoca vendetta, comanda dal nulla, dall’infinità dei posti dai quali il messaggio può essere stato trasmesso. Inafferrabile, almeno per ora. Ma senza eserciti da mostrare mentre marciano dietro la bandiera nera, senza tasse da riscuotere nei territori occupati. Senza i finanziatori che hanno pagato la sua ascesa e che ora lo vorrebbero veder scomparire per non essere riassociati a lui.
Insomma un Daesh.2 come del resto al.Qaeda lo è da tempo, la stessa al-Qaeda che il Califfo per anni ha tentato di distruggere. Un movimento tornato a coperto (se mai aveva agito pubblicamente se non nella parentesi afghana) che è tale dalla morte dei Benladen. E continua ad esserlo, prima durante il dominio debole di Aymnan al-Zawahiri e forse ora del figlio dello sceicco del terrore: Hamza Benladen.


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