mercoledì 11 dicembre 2019
La leader birmana Premio Nobel per la Pace difende l'esercito: «Presentato un quadro fuorviante e incompleto della situazione della minoranza musulmana nel Paese». Sono 700mila gli sfollati
Aung San Suu Kyi all'Aja (Ansa)

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"Non c'è alcuna prova dell'intento genocida, non può essere l'unica ipotesi" nel caso Rohingya. La controversa dichiarazione è arrivata stamane dal ministro degli Esteri del Myanmar, Aung San Suu Kyi, nel suo intervento davanti alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja in difesa dell'esercito del Myanmar accusato di genocidio nei confronti della minoranza musulmana. "Non si può escludere che i militari abbiano usato una forza sproporzionata", ha ammesso il Premio Nobel per la Pace, insistendo però sul fatto che "sicuramente l'intento genocida non può essere l'unica ipotesi".

L'accusa di genocidio contro il governo birmano è stata presentata dal Gambia, con il sostegno dei 57 membri dell'Organizzazione della cooperazione islamica (Oic). Secondo Aung San Suu Kyi, il Gambia ha disegnato un "quadro fuorviante e incompleto" della situazione della minoranza musulmana Rohingya nel suo Paese.

Ministro degli Esteri del Myanmar, Su Kyi è leader di fatto del Paese dal 2016, prima che cominciasse la persecuzione sistematica dei Rohingya ad opera dei militari, su cui lei non ha però controllo. Il processo all'Aja non la vede formalmente sul banco degli imputati, ma la vicenda dei Rohingya ha da tempo offuscato la sua immagine internazionale di eroina della democrazia. Il procuratore del Gambia che segue il caso, Abubacarr Marie Tambadou, ex ministro della Giustizia del suo Paese, ha chiesto in aula che il Myanmar metta immediatamente fine alla persecuzione dei Rohingya.

Gli inquirenti dell'Onu accusano i militari del Myanmar di aver condotto una serie di atrocità con «intento genocida» contro i Rohingya, minoranza musulmana in un Paese a grande maggioranza buddista. Sotto accusa è una campagna militare condotta nel 2017 nello Stato di Rakhine, sulla costa occidentale del Myanmar, che ha costretto 700mila persone a fuggire nel vicino Bangladesh. Si parla di villaggi rasi al suolo e dati alle fiamme, migliaia di morti e stupri sistematici.

Il Myanmar considera i Rohingya immigrati irregolari e ha sempre negato loro la cittadinanza. Sia il governo che i militari hanno sempre respinto le accuse di atrocità. E la guida della delegazione all'Aja è stata affidata a Suu Kyi perché difenda «gli interessi nazionali del Myanmar».

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