giovedì 10 settembre 2009
Non c’è più bisogno di trasferirsi in campagna per allevare le api e produrre il miele: basta un balcone oppure un tetto.
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Dopo gli orti di città, sui balconi arrivano gli alveari. In Inghilterra è già boom di vendite per il «Beehaus» (casa delle api), un contenitore colorato, lungo un metro e alto mezzo: secondo gli apicoltori, basta un’ora di manutenzione a settimana per ricavare in dodici mesi ben 50 barattoli di dolce miele, cioè all’incirca 20 chili di prodotto. Chi non ha un giardino può posizionarlo sul balcone, oppure ancorarlo al tetto: non c’è più bisogno di trasferirsi in campagna per diventare apicoltore, perché allevare api può diventare un passatempo per chiunque abbia almeno un balcone e mille euro da investire nell’acquisto dell’alveare e di una colonia d’api mellifere (quelle che producono miele). Tutto così facile? Sembra di sì, visto che basta un corso serale di due settimane per improvvisarsi allevatori. Questo preoccupa non poco gli ecologisti, preoccupati che molti intraprendano questa attività per semplice capriccio e che poi, stanchi della novità, abbandonino sciami di api in giro per i giardini dei vicini. Al contrario, se preso seriamente, l’alveare urbano potrebbe contribuire ad attenuare in Gran Bretagna il fenomeno della moria della api, che negli ultimi anni ha raggiunto nel mondo livelli record a causa dell’uso massiccio di pesticidi, cioè quei prodotti chimici che tengono lontane dalle piante malattie, insetti e animali dannosi. Secondo Nicolas Géant, famoso apicoltore francese, le api vivono ormai meglio in città che nelle campagne, perché, nonostante le città siano inquinate, i fiori che vi crescono non hanno pesticidi. Per questo a Géant è venuta l’idea di ospitare alcuni alveari sui monumenti simbolo di Parigi: sono già sui tetti del Grand Palais e dell’Opéra Garnier. La scommessa è di raccogliere 500 chili di miele millefiori, che saranno venduti nel 2010 con il marchio «Miele del Grand Palais». Anche in Italia stanno tornando le api. Merito del divieto di usare alcuni pesticidi sul mais, imposto da un decreto che purtroppo sta per scadere.La moria delle api. Dopo aver scelto le piante da cui succhiare il nettare, l’ape fa ritorno all’alveare e cerca di convincere le compagne a fare lo stesso. Per comunicare la posizione di queste piante e la qualità del loro nettare, l’ape utilizza una specie di danza. La scoperta della danza come mezzo usato dalle api per trasferire informazioni valse il premio Nobel allo zoologo austriaco Karl von Frish. Se le compagne accettano, e malauguratamente le piante da lei scelte sono state trattate con pesticidi, l’alveare si ritroverà infettato. È così che ha inizio la cosiddetta "sindrome del collasso dell’alveare". Le api adulte abbandonano la colonia. Alla fine l’ape regina resta in compagnia di pochissime api-operaie. Secondo gli esperti non sarebbe colpa solo dei pesticidi, ma di un insieme di fattori, inclusi i cambiamenti climatici, virus e alimentazione insufficiente. Il problema è grave perché poche api non significano solo poco miele, ma anche poca impollinazione (il processo che permette a piante e fiori di riprodursi). Poche api quindi significano meno piante. È a rischio quindi la produzione agricola. Per questo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che ha sede a Parma, ha avviato un progetto di ricerca internazionale per capire meglio quali siano le vere cause della sindrome che uccide le api.La dolce vita. Miele, che passione. È sempre più così anche per gli italiani. Nel 2009 hanno incrementato del 150% il consumo di questo dolce alimento, passando da 400 a 600 grammi a testa. Secondo una ricerca dell’Unione degli apicoltori italiani, il nostro consumo medio si sta avvicinando a quello di altri Paesi europei, anche se siamo lontani dal chilo e mezzo di miele consumato in un anno da ogni tedesco. Oltre che un piacere per il palato, il miele, o meglio la sua produzione, comincia a essere un’occupazione gettonata, un modo per reinventarsi un lavoro nuovo per chi ha perso quello vecchio o un passatempo per arrotondare lo stipendio. Fioriscono ovunque corsi per insegnano a fare l’apicoltore, anche solo amatoriale. Tra i corsi più singolari, quello per diventare degustatore di miele. Perché non esiste un miele uguale a un altro: può essere liquido o cristallizzato, millefiori o unifloreale, di acacia o di castagno… E si potrebbe continuare ancora!Un po' di storia. Già durante la preistoria gli uomini raccoglievano il miele delle api selvatiche. Ben presto l’uomo imparò come allevare le api per produrre miele e cera. L’apicoltura era un’attività fiorente nell’antico Egitto. Il miele non serviva soltanto come dolcificante e fermentante ma anche a realizzare farmaci e prodotti di bellezza. Le più antiche creme antirughe erano proprio a base di miele. La cera certo serviva per confezionare candele ma anche come sostanza usata nella mummificazione delle salme. L’ape già in Egitto era l’immagine della regalità, per questo veniva spesso raffigurata su gioielli e pitture. Fin dall’antichità si utilizzava la tecnica detta «a cera persa» per la realizzazione di gioielli, statue e oggetti di metallo. Solo più tardi l’ape è diventata simbolo di laboriosità, diligenza e capacità di vivere pacificamente in una comunità organizzata secondo una precisa gerarchia. I Greci e i Romani diedero grande importanza all’apicoltura. Il miele era considerato un alimento di origine divina ed era diffusa la credenza che il nettare dei fiori cadesse dal cielo. Gli antichi Romani erano soliti bere il vino con l’aggiunta di miele, una bevanda che chiamavano «mulsum». Anche nell’immaginario cristiano l’infaticabilità delle api nel lavoro divenne un modello per la comunità. Sant’Ambrogio paragonò la Chiesa all’alveare e i fedeli alle api. Mentre la dolcezza del miele divenne simbolo di Cristo e della sua clemenza. Alcuni santi sono paragonati alle api per la dolcezza delle loro parole e per la loro eloquenza: è il caso di San Bernardo e di Sant’Ambrogio. Finché la canna prima e la barbabietola poi non vennero coltivate in maniera estensiva e il prezzo dello zucchero non cominciò a diventare competitivo, cosa che avvenne solo agli inizi del 1800, il miele era di fatto l’unico dolcificante a disposizione.
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