Non c'è tregua a Gaza: decine di morti per il pane

Accuse ai soldati israeliani: ennesima strage del pane. I mediatori di Hamas insistono: «Colloqui in bilico». Domani la controproposta israeliana sul piano per il ritiro
July 11, 2025
Non c'è tregua a Gaza: decine di morti per il pane
Reuters | Una delle piccole vittime dell'attacco a Kan Yunis
Ad aprile 2024 fu il Filadelfia. Quindici mesi dopo, i negoziati tra Israele e Hamas si impantanano di nuovo su una lingua d’asfalto: il “corridoio Morag”, che divide Khan Yunis da Rafah, nel sud della Striscia. La crisi è esplosa venerdì, 24 ore dopo la partenza da Washington di Benjamin Netanyahu. Due giorni prima, al termine del secondo faccia a faccia, Donald Trump aveva fatto recapitare al gruppo armato la garanzia che Tel Aviv non avrebbe ripreso l’offensiva al termine dei due mesi di cessate il fuoco. Quanto cioè i miliziani chiedevano per dare il proprio via libera all’intesa. La trattativa sembrava, ormai, in discesa. La successiva riunione – la quinta, indiretta e mediata da Qatar e Egitto – è stata vicina a sciogliere il principale nodo: il ritiro dell’esercito da Gaza. Un test, quest’ultimo, dell’effettiva intenzione israeliana di mettere fine al conflitto.
I delegati di Tel Aviv avevano accettato una zona cuscinetto all’interno della Striscia profonda tra uno e 1,5 chilometri. Nella mappa consegnata poco dopo, con la proposta precisa, i militari restavano dispiegati nel 40 per cento del territorio dell’enclave, inclusa Rafah, parte dell’est di Khan Yunis, le zone nord di Beit Lahia e Beit Hanoun e i quartieri orientali di Gaza City. Il documento ha mandato su tutte le furie i rappresentanti di Hamas che hanno parlato di «intento deliberato» di guadagnare tempo da parte di Netanyahu – in concomitanza con il viaggio a Washington –, per poi far fallire l’intesa, ormai, «al punto di rottura». A riprova, il gruppo armato ha citato l’assenza da Doha di funzionari di primo piano, con potere decisionale, come il capo del Mossad, David Barnea, il responsabile ad interim dello Shin Bet e il ministro degli Affari strategici, Ron Derner. Tel Aviv si è scagliata contro «l’intransigenza» e la «mancanza di flessibilità» dei miliziani che avrebbero rifiutato la proposta del Qatar. Poi, però, i delegati di Tel Aviv hanno annunciato l’intenzione di presentare oggi una nuova proposta di dispiegamento dei soldati con annessa mappa. Pur in un clima di tensione, dunque, le trattative vanno avanti.
La finestra di opportunità aperta nelle scorse settimane è, comunque, ridotta a uno spiraglio. Solo l’irruzione di Steve Witkoff in Qatar – ovvero una spinta diretta di Trump – potrebbe schiuderla di nuovo. Due giorni fa, un’inchiesta del New York Times ha rivelato il sistematico sabotaggio dei negoziati da parte di Netanyahu in ventidue mesi di guerra. Sulla stessa linea Gershon Baskin, tra i più noti esperti di negoziati e mediatore egli stesso nel sequestro del soldato Gilad Shalit. Ogni volta – spiega – il premier si è ostinato sul controllo irrinunciabile di un «punto differente della Striscia» – l’asse Filadelfia, Rafah, Khan Yunis – in modo da creare l’impasse e non compromettere la propria maggioranza, data l’opposizione dell’ultra destra. Baskin sottolinea, inoltre, l’approssimarsi della chiusura della Knesset, il 28 luglio: Netanyahu potrebbe posticipare qualunque intesa dopo tale data in modo da non rischiare un voto di sfiducia.
«Nel frattempo, gli ostaggi continueranno a soffrire e i soldati israeliani e i gazawi a morire». Altre 60 persone, secondo il ministero della Sanità, controllato da Hamas, sono stati uccise ieri. Quasi la metà nell’ennesima strage del pane a Rafah: almeno 27 civili – sostengono fonti palestinesi – sono stati colpiti a morte e quasi 200 feriti dagli spari mentre erano accalcati davanti al centro di al-Shakoush della controversa Gaza humanitarian foundation. La sua esclusione dalla gestione dei soccorsi, chiesta da Hamas, è un’altra dei punti di attrito a Doha. Israele, però, è determinato a mantenerla in funzione, da qui la necessità di “tenere” il corridoio Morag. Anzi, il ministro della Difesa, Israel Katz ha annunciato, proprio a Rafah, la creazione di una «città umanitaria» dove concentrare i gazawi in attesa del “trasferimento”. Verso dove non si sa.

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