Netanyahu vuole solo vincere la guerra (anche a costo della vita degli ostaggi)
L'annuncio di nuovi insediamenti in Cisgiordania da parte dell'ultradestra al governo in Israele mira a spezzare in due la regione e a impedire la creazione di qualsiasi Stato palestinese

A una settimana dal via libera al piano per l’occupazione dell’intera Striscia di Gaza – in un Consiglio di sicurezza israeliano che durò dieci ore – nel polverone che si è alzato dentro e fuori Israele una cosa appare chiara: niente e nessuno potrà far recedere la coalizione al potere dal suo intento di «vincere la guerra». Un obiettivo che, da tempo, ha messo in secondo piano quello di liberare gli ostaggi (ne restano 50, di cui 20 ritenuti in vita) e persino quello di sconfiggere Hamas. «Abbiamo bonificato la palude, non stiamo a dar la caccia alle zanzare» aveva obiettato con un’efficace metafora il generale Israel Ziv, già a capo della direzione delle operazioni delle Forze armate. Obiezione condivisa dal capo di stato maggiore, Eyal Zamir, che pure a marzo era stato voluto da Netanyahu e dal ministro della Difesa Israel Katz a sostituire il “critico” generale Herzl Halevi.
Delle mire autentiche del governo quasi di minoranza (60 deputati su 120 alla Knesset) non fa mistero il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich (Sionismo religioso). Esplicito come sempre nel rivendicare, assieme al collega della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir (Potere ebraico), le ambizioni dei coloni su tutto il territorio compreso tra il Mediterraneo e il Giordano. Annunciando l’approvazione definitiva del noto piano edilizio e stradale per la regione E1 (Est1) della Cisgiordania – che di fatto la spezza in due, con la costruzione di 3.401 unità abitative nel mezzo tra Ramallah e Betlemme –, è tornato a ripetere che il nuovo insediamento «seppellirà l’idea di uno Stato palestinese». La zona, tra Gerusalemme Est e Maale Adumim, copre un’area di 12 chilometri quadrati e ospita numerose comunità beduine. Già gli attivisti israeliani di Peace Now avevano confermato che il piano assesta «un colpo mortale alla soluzione dei due Stati». Elaborato nei primi anni Novanta, con Isaac Rabin primo ministro, il progetto E1 aveva subito dilazioni continue dovute principalmente alla pressione della comunità internazionale. Ieri il portavoce del ministero degli Esteri giordano, Sufyan Qudah, ha detto che queste «misure illegali israeliane» costituiscono «una palese violazione del diritto internazionale». Il ministero degli Esteri del Qatar ha espresso «ferma condanna», parlando di «palese violazione della legittimità internazionale, in particolare della Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». E a proposito delle recenti dichiarazioni di Netanyahu, che si è detto «molto legato» alla visione del “Grande Israele”, il ministero degli Esteri iracheno ha parlato di «una palese provocazione e una chiara violazione della sovranità degli Stati». L’Arabia Saudita ha espresso «il suo totale rigetto delle idee e dei progetti di colonizzazione ed espansione adottati dalle autorità di occupazione israeliane», ribadendo «il diritto storico e legale del popolo palestinese a stabilire il proprio Stato indipendente». Interpellato sulla questione, il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato che «una Cisgiordania stabile garantisce la sicurezza di Israele ed è in linea con gli scopi dell’Amministrazione di ottenere la pace nella regione». L’Autorità nazionale palestinese ha chiesto alla comunità internazionale di imporre sanzioni, in quanto il progetto rappresenta «un’estensione dei crimini di genocidio, trasferimento forzato e annessione», oltre a «minare la possibilità di creare uno Stato palestinese, compromettendone l’unità geografica e demografica» e «consolidare la divisione della Cisgiordania, facilitandone così la completa annessione».
Non l’annessione, come vorrebbe l’ultradestra israeliana, bensì l’occupazione militare è il futuro deciso per Gaza. O meglio, per quel 20% scarso dell’enclave che non è ancora controllato dall’esercito. Stando ad al-Arabyia, ripresa dal Times of Israel, nei colloqui di questi giorni al Cairo tra gli emissari di Hamas e i mediatori egiziani il gruppo terrorista offrirebbe di ritirare i propri miliziani e garantire la vita degli ostaggi se Israele accetterà di porre fine alla guerra in modo permanente e rinunciare a ogni forma di occupazione. Sarebbe anche disposto a una pausa umanitaria di 48 ore, che Tel Aviv avrebbe rifiutato. In via ufficiale, Israele si è limitato a smentire che l’arrivo ieri a Doha del capo del Mossad, David Barnea, sia direttamente collegato a negoziati su Gaza. Nei giorni scorsi, Netanyahu aveva dichiarato che l’ipotesi di «accordo parziale» è stata abbandonata. Avanti, fino alla «vittoria completa». Tuttavia funzionari statunitensi e israeliani hanno avanzato l’ipotesi di una tappa del presidente Donald Trump a Tel Aviv in occasione della sua visita nel Regno Unito dal 17 al 19 settembre. «Trump vorrebbe venire se i negoziati andranno a buon fine», scrive il sito israeliano Ynet. Anche ieri almeno 54 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia.
Delle mire autentiche del governo quasi di minoranza (60 deputati su 120 alla Knesset) non fa mistero il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich (Sionismo religioso). Esplicito come sempre nel rivendicare, assieme al collega della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir (Potere ebraico), le ambizioni dei coloni su tutto il territorio compreso tra il Mediterraneo e il Giordano. Annunciando l’approvazione definitiva del noto piano edilizio e stradale per la regione E1 (Est1) della Cisgiordania – che di fatto la spezza in due, con la costruzione di 3.401 unità abitative nel mezzo tra Ramallah e Betlemme –, è tornato a ripetere che il nuovo insediamento «seppellirà l’idea di uno Stato palestinese». La zona, tra Gerusalemme Est e Maale Adumim, copre un’area di 12 chilometri quadrati e ospita numerose comunità beduine. Già gli attivisti israeliani di Peace Now avevano confermato che il piano assesta «un colpo mortale alla soluzione dei due Stati». Elaborato nei primi anni Novanta, con Isaac Rabin primo ministro, il progetto E1 aveva subito dilazioni continue dovute principalmente alla pressione della comunità internazionale. Ieri il portavoce del ministero degli Esteri giordano, Sufyan Qudah, ha detto che queste «misure illegali israeliane» costituiscono «una palese violazione del diritto internazionale». Il ministero degli Esteri del Qatar ha espresso «ferma condanna», parlando di «palese violazione della legittimità internazionale, in particolare della Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». E a proposito delle recenti dichiarazioni di Netanyahu, che si è detto «molto legato» alla visione del “Grande Israele”, il ministero degli Esteri iracheno ha parlato di «una palese provocazione e una chiara violazione della sovranità degli Stati». L’Arabia Saudita ha espresso «il suo totale rigetto delle idee e dei progetti di colonizzazione ed espansione adottati dalle autorità di occupazione israeliane», ribadendo «il diritto storico e legale del popolo palestinese a stabilire il proprio Stato indipendente». Interpellato sulla questione, il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato che «una Cisgiordania stabile garantisce la sicurezza di Israele ed è in linea con gli scopi dell’Amministrazione di ottenere la pace nella regione». L’Autorità nazionale palestinese ha chiesto alla comunità internazionale di imporre sanzioni, in quanto il progetto rappresenta «un’estensione dei crimini di genocidio, trasferimento forzato e annessione», oltre a «minare la possibilità di creare uno Stato palestinese, compromettendone l’unità geografica e demografica» e «consolidare la divisione della Cisgiordania, facilitandone così la completa annessione».
Non l’annessione, come vorrebbe l’ultradestra israeliana, bensì l’occupazione militare è il futuro deciso per Gaza. O meglio, per quel 20% scarso dell’enclave che non è ancora controllato dall’esercito. Stando ad al-Arabyia, ripresa dal Times of Israel, nei colloqui di questi giorni al Cairo tra gli emissari di Hamas e i mediatori egiziani il gruppo terrorista offrirebbe di ritirare i propri miliziani e garantire la vita degli ostaggi se Israele accetterà di porre fine alla guerra in modo permanente e rinunciare a ogni forma di occupazione. Sarebbe anche disposto a una pausa umanitaria di 48 ore, che Tel Aviv avrebbe rifiutato. In via ufficiale, Israele si è limitato a smentire che l’arrivo ieri a Doha del capo del Mossad, David Barnea, sia direttamente collegato a negoziati su Gaza. Nei giorni scorsi, Netanyahu aveva dichiarato che l’ipotesi di «accordo parziale» è stata abbandonata. Avanti, fino alla «vittoria completa». Tuttavia funzionari statunitensi e israeliani hanno avanzato l’ipotesi di una tappa del presidente Donald Trump a Tel Aviv in occasione della sua visita nel Regno Unito dal 17 al 19 settembre. «Trump vorrebbe venire se i negoziati andranno a buon fine», scrive il sito israeliano Ynet. Anche ieri almeno 54 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






