Nei villaggi, tra le donne afghane cancellate dal sisma di un mese fa
di Redazione
Il terremoto ha colpito le regioni del nord-est, dove il 90 per cento del personale medico è maschile. Nooriya: «Ci hanno messe in un angolo e si sono dimenticati di noi»

Quando la terra ha tremato, non solo sono crollati i muri delle case, ma si sono spezzati i cuori di migliaia di madri, figlie, sorelle e mogli dell’Afghanistan orientale. Le urla dei bambini sotto le macerie e le grida delle donne che avevano perso i mariti o i figli sono risuonati per giorni nel silenzio dei monti Kunar. In quelle ore piene di paura, sangue e detriti, le donne sono divenute vittime non solo di un disastro naturale, ma anche delle ingiustizie sociali e delle restrizioni di genere imposte dal nuovo ordine talebano. Per donne e le ragazze colpite dal terremoto, le nuove ferite si sono aggiunte ad altre, provocate dal ritorno dei taleban al potere nell’agosto di quattro anni fa, e rimaste sempre aperte.
Nei primi giorni dopo il sisma del 31 agosto, le donne e le ragazze della remota provincia di Kunar, dove si trovava l’epicentro del sisma e la più colpita, insieme a quella di Nangarhar, sono state lasciate sole nel cuore del terremoto. I taleban le hanno abbandonate proprio perché donne, mentre i centri sanitari avevano già smesso di funzionare a causa dei tagli al bilancio delle agenzie umanitarie in Afghanistan, in particolare quelli statunitensi decisi dall’amministrazione Trump.
Nelle zone montuose di Kunar molti villaggi sono rimasti a lungo isolati dagli aiuti, con le strade bloccate e le continue scosse di assestamento che rendevano paurosi i giorni e soprattutto le notti. A tanti non sono stati forniti rifugi temporanei, mentre la carenza di acqua pulita, di cibo e di servizi di base ha rapidamente acuito la crisi.
Nelle zone montuose di Kunar molti villaggi sono rimasti a lungo isolati dagli aiuti, con le strade bloccate e le continue scosse di assestamento che rendevano paurosi i giorni e soprattutto le notti. A tanti non sono stati forniti rifugi temporanei, mentre la carenza di acqua pulita, di cibo e di servizi di base ha rapidamente acuito la crisi.
La scossa del 31 agostonel cuore della notte
Nella notte del 31 agosto un terremoto di magnitudo 6.0 della scala Richter ha scosso Kunar e le province orientali. Pochi giorni dopo il governo taleban ha annunciato un bilancio di 2.205 vittime e oltre 3.600 feriti. Le donne e le ragazze rappresentano oltre la metà delle vittime e dei feriti e il 60% dei dispersi, secondo la Rappresentante speciale di Un Women in Afghanistan, Susan Ferguson, che si è da poco recata in visita nel Kunar. Le infrastrutture per la sanità e l'acqua sono state distrutte, ha rilevato la rappresentante Onu, e non ci sono abbastanza latrine per le donne nei villaggi o nei campi di accoglienza. Questo significa che devono camminare più a lungo per andare in bagno o raccogliere acqua – ha aggiunto - esponendosi al rischio di violenza ma anche di incappare su mine nel terreno. Vi è un maggiore rischio di violenza anche all'interno delle famiglie, per la «pressione intensa sulle comunità derivante dallo sfollamento, dalla perdita dei mezzi di sussistenza e altro», ha proseguito Ferguson. Inoltre «almeno 463 famiglie nelle aree colpite hanno a capo solo donne, che ora troveranno estremamente più difficile sfamare i bambini e trovare un posto sicuro dove stare».
Medici senza Frontiere (Msf) ha aperto una clinica nel campo di Patang nel Kunar, dove vivono circa mille famiglie sfollate e dove in meno di una settimana gli operatori hanno compiuto 1.350 visite, circa 200 al giorno. Il suo staff medico – riferiscono dall’organizzazione – riesce ancora a curare e assistere pazienti donne. E comunque conta su un nutrito staff medico femminile. Nel campo di Zerai Baba ha inoltre distribuito acqua e costruito dieci latrine.
Sotto il regime talebano le donne hanno bisogno di un parente maschio come tutore (mahram) per viaggiare, lavorare o interagire con altri uomini, partecipare a programmi e servizi con loro. Questa severa restrizione ha ostacolato i soccorsi nell’emergenza. L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha chiesto che la norma sia allentata o revocata per le operatrici umanitarie e le pazienti di sesso femminile nelle zone interessate dal sisma, perché ostacola i soccorsi, l’assistenza e l’accesso ai servizi. Le dottoresse sono infatti poche nelle aree colpite o non ce ne sono affatto: quelle chiamate a giungere sul posto sono a loro volta ostacolate negli spostamenti dalle stesse norme.
Inoltre, dal 2021 sono stati emessi per le donne afghane divieti di lavorare per molte Organizzazioni non governative nazionali e internazionali, soprattutto quando il lavoro richiede spostamenti o interazioni con persone estranee alla famiglia. Esistono eccezioni in caso di emergenze, ma la loro applicazione è disomogenea e poco chiara. L'amministrazione locale taleban nella provincia di Nangarhar ha chiesto alle agenzie umanitarie e ai media di rispettare la «sensibilità islamica e afghana» e di astenersi dal fotografare le donne durante la distribuzione degli aiuti.
A creare difficoltà è il fatto che non vi sono abbastanza medici donna: secondo medici e testimoni interpellati nei distretti di Kunar e Nangarhar, il 90% degli operatori sanitari sul campo è maschio, mentre tra il 10% del personale femminile restante vi sono soprattutto ostetriche e infermiere, e pochi medici specialisti. Ciò ha portato molte donne a evitare di sottoporsi alle cure o a ritardarle, per riluttanza o difficoltà a interagire con un medico uomo. Di conseguenza, anche quando erano ferite o nel travaglio del parto, l’intervento è stato ritardato, in attesa di una dottoressa o di un mahram che accettasse di essere presente. Con conseguenze spesso irreparabili.
Invisibili e dimenticate tra le macerie delle case
Anche se non rientrano nelle statistiche, molte donne dei villaggi della provincia di Kunar sono parte dello stesso contesto di sofferenza. È il caso di Nooriya, una ragazza di 19 anni di Ghazi Abad (Kunar). Curata in un ospedale nella provincia di Nangarhar, ha raccontato di aver perso cinque familiari. Le squadre di soccorso formate da maschi – racconta - sono entrate nel villaggio e hanno soccorso uomini e bambini, lasciando indietro le donne ferite. Lei e altre hanno aspettato per giorni, perché non c'erano né dottoresse né operatrici umanitarie. «Ci hanno messe all’angolo e si sono dimenticate di noi».
Nel villaggio di Andarlakak, ancora nel Kunar, la prima squadra di soccorso maschile è arrivata dopo 36 ore, racconta Mahtab, 24 anni. I soccorritori hanno subito estratto uomini e bambini dalle macerie e iniziato a curare i feriti. Ma donne e ragazze, anche se ferite e sanguinanti, sono state ignorate per il divieto di contatto tra donne e uomini non consanguinei. Alcune sono addirittura rimaste sotto le macerie. «Nessuno ha aiutato le donne, né ha chiesto loro di cosa avessero bisogno, né si è nemmeno avvicinato», ha detto. Ghulam Farooq, un soccorritore arrivato nel distretto di Mazar-e-Dara il giorno dopo il terremoto, ha riferito di non aver visto donne tra le squadre mediche e di soccorso, e nemmeno in uno degli ospedali della zona.
I soccorritori, tutti uomini, erano titubanti nel tirare fuori le donne dalle macerie – ha confermato - in attesa che arrivassero donne da altri villaggi per farlo. «Era come se le donne fossero invisibili», ha sottolineato. E ha aggiunto di aver perfino visto i soccorritori estrarre cadaveri di donne, in assenza di parenti stretti di sesso maschile, afferrandone i vestiti per evitare di toccarle.
Si prevede un aumento della mortalità materna
Dopo il disastro, agenzie internazionali e organizzazioni sanitarie hanno chiesto ai taleban di revocare le restrizioni per affrontare l’emergenza. L’Oms ha esortato i taleban a consentire alle operatrici sanitarie di viaggiare senza tutori maschi per raggiungere le aree colpite. Se la situazione persiste, si prevede un aumento della mortalità materna e neonatale. Ma anche gravi conseguenze per le ferite non curate, le infezioni, le disabilità. Seri anche gli effetti psicologici: sentimenti di rifiuto, vergogna, ansia, depressione, paura del futuro, soprattutto per le donne che hanno perso il mahram o sono costrette ad assumersi responsabilità familiari.
Il terremoto ha scosso dunque non solo il suolo, ma anche le fondamenta della giustizia, dell’umanità e della dignità umana, aggravando le conseguenze delle discriminazione di genere, di leggi spietate e anche di una carenza di risorse umane nel settore sanitario.
Il terremoto ha scosso dunque non solo il suolo, ma anche le fondamenta della giustizia, dell’umanità e della dignità umana, aggravando le conseguenze delle discriminazione di genere, di leggi spietate e anche di una carenza di risorse umane nel settore sanitario.
L’autore di questo reportage è un giornalista afghano che scrive con uno pseudonimo
(ha collaborato Luciana Borsatti)
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