Le voci da Gaza: «Purché si fermi questa strage»
Disillusi i commenti dei palestinesi: «Menzogne che parlano di pace. Ma non c’è alternativa»

«È come se fossimo con le spalle al muro. O ammettiamo l’espansione dell’occupazione nelle sue forme americana, israeliana e britannica, oppure accettiamo la prosecuzione della guerra a costo di veder morire tutti i palestinesi rimasti a Gaza», rifletteva ieri mattina Fedaa Zeyad, scrittrice gazawi, commentando per Avvenire il piano del presidente americano Donald Trump. Leader che, aggiunge lei, «ci porterà solo a una distruzione ulteriore. Ci troviamo di fronte a un arsenale militare avvolto da menzogne che parlano di pace. In ogni caso, vogliamo che si interrompano le uccisioni, questo massacro deve finire, a qualunque costo. Fermarlo così è politicamente ingiusto, ma continuarlo è ancora di più un’ingiustizia dal punto di vista della popolazione».
Zeyad, scrittrice: «Abbiamo le spalle al muro:
l’occupazione o la guerra».
Ikhlas: «Alcuni vedono la proposta
come un’opportunità,
altri come un’ingiustizia e una minaccia».
H.A., giornalista: «Tutte le clausole sono su misura di Tel Aviv»
Sono articolate e si concentrano su aspetti diversi le reazioni degli abitanti della Striscia, all’indomani della presentazione dei venti punti del piano di pace statunitense, già accettato da Israele. Per tutti, però, sopra ogni considerazione, c’è l’urgenza che le armi si fermino. «Se Hamas non accettasse la proposta, il rifiuto potrebbe significare la distruzione di ciò che resta di Gaza», è quello che più teme il professor Maher Jouda dell’Università Al-Quds, raggiunto su Whatsapp. « Purtroppo, come gazawi, potremmo sacrificare molti dei nostri diritti politici e nazionali in cambio della fine del conflitto». Dal centro della Striscia dove è sfollato, condivide il suo pensiero anche Ghazi al-Majdalawi del “Centro palestinese per le persone scomparse e disperse con la forza”, le cui attività per ora sono sospese.
«Non è altro che un progetto per liquidare la causa palestinese. Lo stesso Netanyahu ha affermato chiaramente che « non ci sarà nessuno Stato di Palestina». Per i due anni di guerra, gli Stati Uniti sono stati un partner diretto dell’occupazione, sia politico che militare. Non ci aspettiamo giustizia da un Paese che ha costantemente permesso i crimini di Israele». Poi conclude: « Non so se Hamas sarà d’accordo o meno con la proposta. Se fossi nei loro panni accetterei quello che c’è sul tavolo – pur ingiusto nei nostri confronti – perché la guerra deve finire». Non ha molto tempo per spiegare la sua posizione, Ikhlas R. sfollata a Khan Yunis: «Sto andando in ospedale, oggi hanno bombardato l’area vicino a noi, c'è un'avanzata di veicoli militari, insieme a spari vaganti in zone “sicure”». Riferisce di diversi morti, e di essere stata lei stessa leggermente ferita. « Niente di grave, una scheggia nell’alluce, cerco un medico perché ho paura che si infetti».
Nei mesi scorsi, durante un’evacuazione dal nord, è stata separata dal marito, arrestato dalle autorità israeliane e ancora in detenzione. Il piano di Trump per lei ha, dunque, un significato particolare: «Spero che tra i prigionieri che potrebbero venire rilasciati ci sia anche lui. Non sono state mosse imputazioni nei suoi confronti, resta in carcere per aumentare il numero dei detenuti e poter contrattare sullo scambio». Poi aggiunge: «Intorno a me, alcuni vedono il piano di Trump come un’opportunità per rilanciare il processo di pace, altri lo considerano ingiusto e una minaccia per i diritti fondamentali dei palestinesi». Molto più netto è il giudizio di H.A., giornalista che si trova ancora a Gaza City.
«Il piano è un salvataggio per Israele, tutte le clausole sono ritagliate solo sulle posizioni di Tel Aviv. Come può il presidente degli Stati Uniti diventare colui che ci guiderà, e perché tutti i punti sono vaghi, senza una data per il ritiro israeliano da Gaza?» commenta in un messaggio che ci invia online. « E perché Trump e Tony Blair dovrebbero essere quelli che gestiscono il destino dei palestinesi? Paesi che non hanno nulla a che fare con la questione hanno accettato condizioni deboli e umilianti. Eppure, vogliamo che la guerra finisca. Come civili, non siamo stati noi la causa del conflitto, ma siamo stati noi ad essere uccisi e sfollati senza pietà. Questa è una trappola tesa nei nostri confronti. Accettarla significa umiliazione e ingiustizia, rifiutarla esilio e morte».
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