Trump un anno dopo l'elezione: a preoccuparlo è il voto di midterm

La presidenza compie un anno: nelle preoccupazioni la crescita, i dazi, l’Ucraina, la Pax Trumpiana in Medio Oriente, i Brics, Putin, Xi Jinping
November 6, 2025
Trump un anno dopo l'elezione: a preoccuparlo è il voto di midterm
Donald Tryump con Xi Jinping/ REUTERS
«Run run rabbit run», scappa scappa, coniglietto, recita una popolare canzone degli anni Trenta. Forse non sarà un uomo in fuga, ma certo Donald Trump dovrà correre lesto nel secondo anno di mandato per non farsi travolgere e catturare da un futuro che sembra in parte già scritto. Perché una cosa è certa: il 2026 sarà per lui un anno vissuto assai pericolosamente. E stavolta l’ondivaga propensione a scantonare da ogni problema agitando ogni volta un nuovo allarme comincia a mostrare la corda perfino nell’universo Maga.
Basta dare un’occhiata alla sua agenda. Il bilancio federale, la politiche energetiche, gli accordi di Parigi, la riorganizzazione dell’Onu, la nuova dottrina militare, la ripresa dei test nucleari. E poi le guerre commerciali, i dazi, la crescita, la pressione fiscale, i rapporti con la Fed, la Nato, il G20 di Miami, l’Ucraina, la Pax Trumpiana in Medio Oriente, i Brics, Putin, Xi Jinping, la Corea del Nord, il traguardo quasi impossibile del Nobel per la Pace. E in fondo al tunnel, le elezioni di medio termine.
A partire da gennaio Trump promette significativi aumenti di spesa per rafforzare la Difesa e la Sicurezza interna (a cominciare dalla tutela dei confini). Nel vasto comparto guidato dal segretario alla Difesa Pete Hegseth (che ora si chiama non casualmente “Dipartimento della Guerra” ) c’è posto, dopo un trentennio di moratoria internazionale, per la ripresa dei test con armi nucleari.
Inevitabili saranno i tagli complessivi alla spesa pubblica e in particolare a settori come la corsa allo spazio (già cancellato sul nascere il progetto di tornare sulla Luna o di finanziare una missione su Marte: forse ci penseranno i privati come Elon Musk o Jeff Bezos) e il monitoraggio climatico.
La strategia di The Donald prevede infatti una contro-transizione energetica fatta di pesanti tagli ai fondi e ai programmi di energia pulita con vigoroso rilancio di petrolio, carbone e nucleare e una sostanziale deregulation, cara alla visione Maga dell’economia. Un “ritorno al futuro”, direbbe qualcuno, ma si sa, la sfida vera è con la Cina, l’unico antagonista di caratura mondiale con cui Trump deve fare i conti: Pechino ha un semi-monopolio di terre rare, Trump vuole allargare il parterre di campi petroliferi sfruttabili e rivendibili a Paesi affamati di energia come l’India e la Cina. Non a caso l’occhio lungo del presidente americano guata avido le immense risorse sotterranee del Venezuela e della Guyana come dall’altro capo dell’Atlantico quella della Nigeria: due tesori in idrocarburi che garantirebbero agli Stati Uniti una primazia energetica sul mercato mondiale.
Punto chiave di questa riconversione sarà il completamento del ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima (che, secondo alcune fonti, dovrebbe diventare effettivo a gennaio 2026), segnando una rottura netta con gli impegni internazionali. Dal prossimo anno si sentiranno gli effetti sullo scacchiere mondiale. A cominciare dall’economia. Secondo molti analisti, l'attuazione di un pacchetto fiscale espansivo (che potrebbe includere il rinnovo completo del Tax Cuts and Jobs Act del 2017) unito a nuovi dazi sulle importazioni potrebbe spingere l'inflazione al rialzo e indurre la Federal Reserve a mantenere i tassi di interesse relativamente alti anche nel 2026. Risultato: il disavanzo federale supererà l'8% del Pil, peggiorando lo stato già precario delle finanze pubbliche statunitensi.
Ma i dazi elevati sparsi per tutto il mondo da Donald Trump finiranno anche per aumentare l'incertezza e i costi per le imprese e i consumatori. Europa in testa.Trump stesso proclama: «Gli Stati Uniti non tollereranno mai più politiche economiche o diplomatiche percepite come svantaggiose». E le elezioni di midterm? I modelli previsionali suggeriscono che i repubblicani rischiano di perdere il controllo della Camera, nonostante il convulso ridisegno dei distretti elettorali.
Ce lo vedete The Donald in versione “lame duck”, ovvero anatra zoppa? Lui non ci dorme la notte, al solo pensiero.

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