La fuga degli haitiani sulle montagne per continuare a vivere

Man mano che le gang avanzano nella pianura centrale, la gente scappa sempre più in alto. Il sostegno della Rete Radie Resch di Padova per l'istruzione. Fabiano Ramin: «Ci limitiamo ad accompagnar
August 2, 2025
La fuga degli haitiani sulle montagne per continuare a vivere
Ansa | Haitiani in fuga dalla violenza
A Haiti, molte strade non portano più da nessuna parte. Alcune sono state chiuse da barricate improvvisate, altre controllate da bande armate. Interi tratti della Route Nationale 1, l’arteria che collega la capitale al nord, sono inaccessibili. È successo a Cabaret, dove aveva sede la Fddpa – l’associazione dei contadini haitiani – e poi ad Arcahaie, a Pont Sondé, ingresso alla valle dell’Artibonite. Le gang fermano autobus, sequestrano merci e persone, impongono il pedaggio. Molti, per sfuggire, sono saliti verso la montagna, come facevano gli schiavi ribelli al tempo della colonia.
Chain des Matheux, la catena montuosa che separa la costa dalla pianura centrale, è oggi una delle poche zone la vita cerca di proseguire. «Qui semplicemente non c’è nulla da rubare, ci sono solo case di fango», spiega Fabiano Ramin, della Rete Radié Resch di Padova, che da oltre trent’anni sostiene l’esperienza dell’organizzazione Fddpa. Un legame che si è stretto nel tempo dopo l’incontro con Elane Printemps, da tutti chiamata Dadoue: nel 1984 decise di abbandonare il convento delle suore teresiane per aiutare i suoi compaesani, fondando il primo centro d’istruzione della zona. «Diceva sempre che l’unico modo che Haiti ha per uscire dalla sua condizione drammatica sono le scuole», ricorda Elvio Beraldin di Rete Radié Resch. “Dadoue” è stata assassinata il 24 aprile 2010, ma il lavoro che ha avviato continua, e porta il suo nome.
Oggi il sostegno della rete padovana – un gruppo di volontari che ha deciso la via dell’autotassazione come forma di restituzione – consente di mantenere attive quattro scuole, tre strutture prescolari, un centro di salute e diverse borse di studio. Le scuole sono intitolate a chi ha condiviso il cammino: come Gianna, Marianita, lo stesso padre Ezechiele Ramin.
Fino a poco tempo fa era attiva anche una scuola professionale, la Espam, fondata da Martine Mercier e Jean Bonnelus per formare giovani in scienze paramediche. Oggi è ferma, dopo che la famiglia è stata costretta a fuggire da Cabaret e poi da Arcahaie, zone colpite dalla violenza armata.
Quello costruito ad Haiti è un “progetto”, ma una relazione. «Non abbiamo un presidente, né un programma da proporre», dice Beraldin. «Accogliamo le richieste che ci arrivano e le accompagniamo da trent’anni». Il bilancio annuale è di oltre 20.000 euro, raccolti con coerenza silenziosa. E con un principio saldo: le comunità locali decidono. Come è accaduto quando si è proposto un fondo rotativo per le donne. «Ci hanno risposto: “Non siamo ancora pronte”», racconta Ramin. «Solo dopo un anno, quando hanno trovato un metodo condiviso, hanno accettato. Ed è nata una piccola cooperativa».

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