Klutstein: non si dia ricompensa al terrorismo di Hamas
L'analista: finché l'Anp non sarà in grado di controllare i "suoi", l'ipotesi di uno Stato palestinese non è realistica

«Perché aspettare settembre? Perché non l’hanno fatto subito? Forse, perché non vogliono davvero riconoscere la Palestina ma rispondere alle pressioni interne e prendere tempo in attesa di sviluppi sul terreno». Elie Klutstein, analista del Misgav Institute, con una lunga esperienza nel National security council israeliano, considera gli annunci francese e britannico come mosse tattiche. Il tempo delle decisioni irrevocabili non è – sottolinea – ancora arrivato.
Solo propaganda, dunque?
Il presidente francese vuole aumentare il peso internazionale di Parigi e il proprio. Per il premier britannico, invece, è stata una risposta obbligata alle richieste sempre più pressanti della base laburista. Il punto è che i Paesi europei possono riconoscere quanto vogliono lo Stato palestinese. Ma non possono farlo esistere senza il consenso di Israele.
Perché lo rifiuta?
Perché, per ora, l’ipotesi di uno Stato palestinese non è realistica. Almeno fino a quando l’Autorità nazionale (Anp) non sarà in grado di controllare “i suoi”. Dai sondaggi realizzati in Cisgiordania – da Hebron a Ramallah a Nablus – emerge con chiarezza lo scontento dei cittadini nei confronti dei propri leader. Li ritengono corrotti e inaffidabili. Se ci fossero le elezioni, l’Anp perderebbe: questa è la ragione per cui non le ha indette negli ultimi vent’anni. Neanche a Gaza Abu Mazen ha molti sostenitori. Potrebbe riprendere la Striscia solo se Hamas fosse sconfitta da Israele la quale, però, non vuole una Striscia amministrata dall’Anp. Un terzo dei palestinesi – nell’enclave come nei Territori –, poi, secondo lo stesso Palestinian Center for Policy and Survey Research di Ramallah, propende per il gruppo armato, contrario alla soluzione dei due Stati. In definitiva, dunque, né gli israeliani né i palestinesi la vogliono
Quale alternativa immagina?
Ci sono idee e punti di vista differenti. L’estrema destra vorrebbe annettere Giudea e Samaria – così chiama la Cisgiordania – e Gaza. O potrebbe profilarsi una “cantonizzazione” ovvero la divisione in piccole enclave con il coinvolgimento dei clan beduini locali, non legati né ad Hamas né alle autorità di Ramallah. Penso, ad esempio, a Yasser Abu Shabab che ha sottratto ad Hamas il controllo di alcune parti di Rafah. O a quello dello sceicco Wadee’ al-Jaabar che ha proposto di svincolarsi dalla Anp per creare un emirato indipendente a Hebron e cooperare con il governo israeliano nell’ottica degli Accordi di Abramo. Si tratta, comunque, di piani fattibili forse nel futuro. Al momento, siamo in una fase di stallo in cui Israele deve garantire la propria sicurezza, soprattutto in Cisgiordania. Quello che accadrà in seguito, si vedrà.
C’è stata molta polemica riguardo ai clan e alle bande beduini accusati da varie fonti di assalti ai convogli umanitari l’anno scorso....
Ci sono stati molte indiscrezioni e dibattiti a proposito delle armi di cui i clan disporrebbero ma, alla fine, per quanto ne so, non è stata presentata alcuna prova concreta.
Benjamin Netanyahu ha ammesso, comunque, di sostenere i gruppi beduini...
Non ha mai parlato di armi, però...
A proposito di sicurezza, il governo israeliano sostiene che uno Stato palestinese rappresenterebbe una minaccia. Che cosa ne pensa?
Non lo dice solo Israele ma anche gli Usa...Dare ai palestinesi uno Stato ora significa ricompensare Hamas per il massacro del 7 ottobre. Il messaggio è: se scegli il terrorismo, se decapiti donne, bambini, anziani, senza distinzioni, sarai premiato. Il riconoscimento dello Stato palestinese in questo momento rappresenta un successo per Hamas. Questo è l’effetto più grave. Come l’intelligence ha rilevato, inoltre, tale entità si trasformerebbe in un trampolino per l’Iran. Israele non può vivere con una piccola Teheran a dieci chilometri di distanza.
Lucia Capuzzi
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