Israele schiera i riservisti per Gaza: ma più di trecento dicono «signornò»

«Ci rifiutiamo di prendere parte a questa guerra illegale. Resistiamo al tentativo di Netanyahu di sacrificare tutto per la propria sopravvivenza politica». Tre bambini morti per denutrizione
September 1, 2025
Israele schiera i riservisti per Gaza: ma più di trecento dicono «signornò»
ANSA | Soldati israeliani vicino al bordo della Striscia di Gaza
È il più forte e corale «signornò!» pronunciato dal 7 ottobre: «Ci rifiutiamo di prendere parte a questa guerra illegale. Resistiamo al tentativo di Netanyahu di sacrificare tutto per la propria sopravvivenza politica». Comincia così, per voce del sergente Max Kresh, il manifesto della renitenza dei riservisti israeliani.
Sono 367 su 40.000 gli uomini e le donne che oggi non si sono presentati davanti al proprio comandante, ma rappresentano ormai la maggioranza della popolazione: «Questa guerra mette inutilmente a rischio la vita degli ostaggi e dei soldati, crea spaccature nella società e una macchia perenne sul nome di Israele. È venuto il momento per la tregua e la liberazione dei prigionieri», ha concluso Kresh durante la conferenza stampa tenutasi oggi pomeriggio a Tel Aviv.
Altri 20.000 riservisti verranno richiamati in novembre, e diventeranno 130.000 nel febbraio 2026. Tanto sembra necessario per la presa di Gaza City secondo “Gideon’s chariots 2”, il piano elaborato fra mille dissidi dal governo e da Eyal Zamir, il capo di Stato maggiore dell’Idf citato dal sergente Kresh come esempio di opposizione alla deriva estremista dell’esecutivo. Il generale non ha mai nascosto le insidie che attendono i soldati nel labirinto di macerie di Gaza City, il pericolo mortale per i 48 ostaggi ancora in mano ad Hamas.
I riservisti saranno destinati prevalentemente alla Cisgiordania, opereranno nelle retrovie. Sarà compito dei sempre più stanchi professionisti dare avvio alla fase più complessa e cruenta del piano, iniziata oggi, ha fatto sapere in serata Zamir.
Un’indicazione sull’avanzamento dell’operazione a tenaglia è arrivata nel pomeriggio da padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia, l’unica chiesa cattolica di Gaza, che sui canali social ha mostrato un video in cui si sentono spari da luoghi non più distanti di 400 metri. Il complesso, dove sono ospitati almeno 500 profughi, si trova vicino a Zeitoun, il quartiere periferico dove insistono da giorni bombardamenti e demolizioni.
Secondo il ministero della Sanità controllato da Hamas sono 46 i morti oggi solo a Gaza City, 78 in tutta la Striscia, 13 per cause legate alla malnutrizione, tre dei quali bambini. “Gideon’s chariots 2” prevede l’evacuazione del milione di abitanti piagati dalla carestia verso i governatorati “sicuri” del sud.
Da settimane tuttavia Rafah e Khan Yunis sono teatro di orribili stragi. L’ultima oggi, nella zona di al-Attar, quando un drone ha ucciso nove persone, tra cui sette bambini, mentre facevano la fila per l’acqua. Il portavoce dell’ospedale Nasser di Khan Yunis, dove almeno 20 persone, fra cui giornalisti e operatori sanitari, sono state uccise la settimana scorsa da un bombardamento non ancora chiarito dall’Idf, ha confermato l’ennesimo massacro.
Quanto poco il sud sia sicuro è emerso anche dal racconto degli incursori della brigata Kfir, che ieri hanno descritto ai media nazionali il feroce scontro a fuoco avvenuto presso una loro postazione, quando almeno 20 miliziani di Hamas sono emersi da un tunnel e hanno fatto irruzione in un tentativo di rapimento. Solo l’intervento dell’aviazione ha salvato i soldati. La vitalità di Hamas si evince anche dal report pubblicato alla Radio militare di Israele, che descrive la rete di almeno 1000 fra informatori e propagandisti creata dal famigerato portavoce del movimento islamista, Abu Obeida, ucciso insieme a moglie e figli da un missile nella notte di sabato. Una sintesi della situazione, che somiglia paradossalmente al manifesto dei riservisti renitenti, se si veste di cinismo, è arrivata ieri dal presidente americano Trump: «Potranno anche vincere la guerra, ma non stanno conquistando il mondo delle pubbliche relazioni», ha affermato il tycoon durante un’intervista al Daily Caller. Ma, ha continuato Trump, «Israele deve finire l’opera».

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