Il paradosso di Rathkeale, la casa stabile dei nomadi d'Irlanda
di Redazione
I travellers in città, principalmente donne, anziani e bambini, rappresentano oggi il 60% dei residenti. Una situazione unica nell'isola ma che alimenta i conflitti sociali.

Lucchetti sui cancelli, grate a porte e finestre e dietro un vetro, all’interno, l’icona del Sacro Cuore di Gesù rivolta a una strada vuota. Rathkeale d’estate è un paese che trattiene il respiro. L’attesa è per il ritorno dei travellers e allora i portoni si aprono, le luci si riaccendono. Questa piccola cittadina distesa nei prati dell’Irlanda dell’Ovest, nella contea di Limerick, conta poco più di 1500 residenti durante l’anno, ma arriva ad averne quasi 5mila a dicembre. Da tutto il mondo arrivano i campervan che contraddistinguono la vita nomade di questa minoranza etnica autoctona. Sono circa 36mila quelli che vivono regolarmente nell’isola, con qualche altra decina di migliaia sparsa tra Regno Unito e Stati Uniti.
Parlano una lingua con radici gaeliche e portano avanti la tradizione di vivere in roulotte viaggiando per l’Irlanda, anche se da anni le politiche governative cercano di fermarne il nomadismo. Rathkeale resta un punto di ritorno, un appuntamento fisso sul calendario, una casa. Ma il ritorno suggestivo che ripopola la città, riempiendola di camper e vestiti stesi sulle staccionate, è diventato un evento traumatico per i residenti che non appartengono a questo gruppo etnico e che vengono chiamati settled, sedentari.
Già trent’anni fa era sorprendente che esistesse un posto dove il numero di settled superasse di poco quello dei nomadi. Ora i travellers stabili in città, principalmente donne, anziani e bambini, rappresentano il 60% dei residenti. Una situazione unica in Irlanda che accende i conflitti sociali. Anche perché più dell’80% delle proprietà immobiliari appartengono ai travellers: un paradosso per cui Rathkeale si espande con case in costruzione, i negozi delle vie principali vengono acquistati e trasformati in abitazioni, mentre i residenti si trasferiscono nelle campagne.

«La Rathkeale che vorrei è abitata solo da travellers, lascerei ai settled la gestione di un paio di negozi che mi piacciono per trovarli aperti quando torno» dice Mike, giovane nomade, davanti a un paio di Guinness. Non racconta, forse perché a disagio, che lui e i suoi amici possono frequentare solo uno dei due pub di Rathkeale, il Black Lion Inn. Nell’altro, Ó Súilleabháin, i travellers non sono ammessi. Così anche all’House Hotel spesso campeggia la scritta “Cerimonia privata” semplicemente per impedire l’ingresso ai nomadi. «Rathkeale è abitata dal pregiudizio, l’arrivo massiccio di travellers ha comportato il declino della città e il declassamento amministrativo» spiega David Breen, responsabile dei progetti per lo sviluppo comunitario locale dal 2006. Era reduce da cinque anni nelle Filippine come cooperante per l’agenzia Irish Aid e mai si sarebbe aspettato di trovare problemi così complessi annodati tra i fili d’erba della contea di Limerick, la seconda per presenza di travellers insieme alla vicina Clare. «La gente per strada non si rivolgeva la parola, i media descrivevano la città come un ritrovo di criminali, i travellers erano completamente emarginati. I progetti di coesione sociale venivano calati dall’alto, ideati negli uffici da settled completamente scollati dalle esigenze degli abitanti».
Meno della metà dei travellers supera i 40 anni, oltre l’80% risultano disoccupati, meno dell’1% arriva alla laurea con un vertiginoso tasso di abbandono scolastico e una sostanziale situazione di analfabetismo. «L’accesso ai servizi viene negato perché i travellers non pagano le tasse. I mariti lavorano all’estero vivendo nelle roulotte, cambiano frequentemente Stato e impiego e tornano a Natale pieni di soldi. Qui restano le mogli a curare i bambini e a casa, ma non hanno un’occupazione e accedono ai servizi sociali per il supporto» aggiunge. Le richieste presentate spesso vengono rimbalzate tra gli uffici per problemi procedurali e mancanza di documentazione. Breen racconta di aver accompagnato personalmente una madre con tre bambini piccoli scappata dall’Inghilterra per le violenze del marito. «Le hanno detto “non puoi tornare qui e pretendere il nostro aiuto” e l’avrebbero lasciata a dormire con i figli in macchina per settimane».
La situazione di intolleranza è stata mitigata negli anni attraverso iniziative di coesione sociale nate dal basso e individuate attraverso gruppi di ascolto e interviste porta a porta, ma nel 2013 il governo ha tagliato i fondi per il progetto. Nello stesso periodo sono stati arrestati per contrabbando internazionale di corni di rinoceronte dei membri di una banda criminale chiamata “Rathkeale Rovers” composta da travellers originari del paese, aumentando la pressione mediatica sulla reputazione della città. David ricorda commosso quel periodo in cui ha rischiato il licenziamento, finché non gli è venuta in mente un’idea alternativa: «L’unico posto dove si vedono insieme settled e travellers è la chiesa». I travellers sono molto ferventi cattolici e molto legati ai riti religiosi. Sfruttare la funzione aggregativa della fede ha in parte funzionato e le interazioni tra gli abitanti di Rathkeale sono migliorate, ma molto è dipeso dalla mediazione personale di Breen.

«La mia visione era di una comunità con due culture diverse. Oggi direi che era solo un miraggio» conclude amareggiato. «Deve essere difficile stare in una comunità che non ti accetta» commenta Clare, parrocchiana settled, mentre il suo vicino Noal, settled, sottolinea che «ancora non si fidano di noi». La distanza resta durante la messa: «La comunità nomade è molto legata alle benedizioni, alle preghiere davanti alle tombe e alla recita del rosario, cose che oggi noi non facciamo più», aggiunge Brīt, catechista. La separazione è evidente anche tra i morti: le tombe dei travellers si distinguono. Sono imponenti, in marmo e granito italiani, con scritte, panchine, inginocchiatoi, decorazioni e fiori tutto l’anno. Intanto, le nuove generazioni dei travellers sembrano più inclini alla sedentarietà e, forse, a Rathkeale nei prossimi anni non si vedranno così tante porte sbarrate.
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